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Grillo, Fanfani e la vera democrazia partecipata

Il comico genovese Beppe Grillo è tornato dal palco del Circo Massimo a Roma a esternare le sue boutade, contribuendo a produrre come al solito sgrammaticature di carattere politico-istituzionale. Ha invocato durante la kermesse pentastellata di eliminare dalla Costituzione i poteri del Presidente della Repubblica, perché a lui non piacciono. Non a caso il gruppo dirigente del M5S subito ha comunicato che Beppe Grillo non ha alcun ruolo nel movimento. Non ricordava forse che il gruppo parlamentare del M5S, attraverso i suoi esponenti al governo tenta di dare avvio alla discussione sulle forme della democrazia diretta, che dovrebbe chiudere nello sgabuzzino dei ferri vecchi la nostra democrazia parlamentare rappresentativa. Speriamo mai!

A metà anni ’70 del Novecento Amintore Fanfani pubblicò un famoso testo dal titolo: “Capitalismo, socialità, partecipazione”. Lo statista democristiano di Arezzo analizzò nel suo lavoro le manchevolezze e i limiti del sistema capitalistico iniziato negli anni ‘30 con l’altro noto volume: “Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo”. A quasi cinquant’anni da quella pubblicazione, destinata a diventare un classico del pensiero economico, ribadì la sua analisi critica: il capitalismo era insostituibile nella produzione della ricchezza, ma incapace di distribuirla equamente. Di qui la necessità di riformarlo sottoponendolo al “controllo” di una vasta partecipazione democratica, a suo avviso strumento indispensabile per correggere un sistema economico poco attento alle esigenze di una maggiore giustizia sociale.

Il volume si inserisce nel confronto su quelli che dovrebbero essere i punti salienti di una eventuale riforma della democrazia rappresentativa, per dare spazio a quelli della cosiddetta democrazia diretta. Il dibattito aperto attorno ai modi migliori – sostiene Fanfani – per adottare sistemi che eliminino i danni prodotti dal capitalismo è complesso e di difficile attuazione. Ma facciamo ciò, come i più avveduti sperano, senza provocare i danni che potrebbero derivare dal ripudio indiscriminato di validi ideali etici e politici e di istituzioni sociali e strumenti tecnici scoperti o aggiornati dall’umanità anche nell’età del capitalismo. In nessun caso, infatti, nemmeno in quello riguardante il superamento del capitalismo, l’umanità potrebbe avanzare verso il pieno raggiungimento di irrinunziabili obiettivi di libertà e di socialità, dedicandosi a restaurare cose superate anziché rinnovarle alla luce di nuovi modi di partecipazione degli interessati alle scelte, alle attuazioni, al controllo che tutti garantiscono”.

Rilette nei giorni in cui è in atto una delle più gravi crisi della finanza e dell’economia mondiali, provocate dall’instabilità dei mercati e dalla mancanza di efficaci regole condivise, queste riflessioni di Fanfani sono di scottante attualità. Ancora si ricordano le concrete iniziative fanfaniane di governo utilissime per avvicinare i cittadini alle istituzioni. Lo statista di Arezzo allargò il voto ai diciottenni; introdusse i decreti delegati nel mondo della scuola, favorendo la partecipazione delle varie componenti alla vita democratica scolastica; rese concrete e elettive le municipalità nelle città più estese e complesse; favorì l’approvazione della riforma sanitaria, i cui benefici, parzialmente, ancora si godono.

Fu il più ardito processo di democrazia partecipata, per cui i cittadini erano chiamati stabilmente a decidere, a scegliere, a deliberare. La partecipazione come principio, per dirimere controversie e conflitti al fine di ricomporre contrasti tra “capitale” e lavoro. Altro che i poteri del Capo dello Stato o la riduzione del numero dei parlamentari oppure il referendum propositivo, a caratterizzare la democrazia diretta.


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