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Nikki Haley esce di scena. Ma tornerà presto, scommettono a Washington

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Seduta a fianco al presidente davanti al caminetto dello Studio Ovale, completo fucsia e volto rilassato, Nikki Haley ha annunciato al mondo che dal 2019 non sarà più lei a rappresentare gli Stati Uniti al Palazzo di Vetro della Nazioni Unite: a fine anno lascerà l’incarico.

Il presidente statunitense Donald Trump avrebbe già accetto da una settimana le dimissioni della sua ambasciatrice all’Onu, falco dell’amministrazione repubblicana che in questi due anni ha sempre tenuto alta la bandiera trumpiana e per un po’ di tempo è stata tra le preferenze presidenziali nel suo intero staff amministrativo, col suo nome spesso tirato in ballo per posti di ulteriore prestigio (per esempio il dipartimento di Stato). Ma attenzione, non è una trumpiana della prima ora: prima, un paio di anni fa, quando Haley alle primarie repubblicane sosteneva il rivale di Trump, Ted Cruz, Trump diceva che la Carolina del Sud – stato di cui Haley era governatrice – si “vergognava di lei”; in precedenza Haley aveva già sostenuto il candidato Marco Rubio, senatore repubblicano dalla Florida.

La scorsa settimana, hanno anticipato oggi due fonti al sito specializzato in faccende politiche americane Axios, Haley sarebbe rientrata a Washington e avrebbe incontrato il presidente alla Casa Bianca. Discussione cordiale, durante la quale lei ha chiesto di dimettersi e il presidente ha accettato – le fonti dicono che diversi collaboratori che si occupano di esteri sono rimasti “scioccati” quando gli è stata comunicata la decisione dell’ambasciatrice: “A big suprise” titola il sito specializzato in faccende politiche The Hill.

Trump ha detto che Haley “è stata fantastica”, e di sperare che a un certo punto torni nella sua amministrazione: “Odio l’idea di perderti, ci mancherai”. Il presidente ha reso pubblico che da almeno sei mesi lei gli aveva fatto sapere che a dicembre avrebbe voluto lasciare il posto, forse per ragioni personali – circostanza che era già uscita tempo fa sui media americani, quando si pensava a suoi incarichi futuri, o al fatto che con la nomina di Mike Pompeo a segretario di Stato e di John Bolton alla Sicurezza nazionale, la Haley trovasse la sua azione politica limitata a uno spazio troppo ristretto.

Al momento, comunque, le ragioni definitive delle dimissioni non sono state diffuse.

Haley, figlia di un’immigrata indiana, già ai tempi della sua nomina, fu una dei funzionari che passò abbastanza indenne il processo di conferma del Senato – arrivata appena quattro giorni dopo l’Inauguration con 96 voti contro 4 . È stata il volto feroce dello scontro con l’Iran nell’ambito del ritiro dal Nuke Deal, e quello duro che ha comunicato al mondo che Trump stava portando fuori l’America dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite – non esitava a definire l’agenzia “il più grande fallimento dell’organizzazione” e ad attaccare Teheran, o la Corea del Nord, come la Russia e la Cina, e dall’interno ha sempre “combattuto” contro l’inefficienza dell’Onu (la posizione più trumpiana di tutte).

L’ambasciatrice era uno dei principali punti di contatto tra Trump e il partito: i repubblicani erano tutti piuttosto soddisfatti delle sue capacità di rappresentare l’America – il potere imperiale bilanciato alle necessità di ri-equilibrio – nel complesso e multilaterale sistema delle Nazioni Unite. Tutti ne lodano le capacità relazionali e la rapidità con cui prendeva in mano i dossier più spigolosi. “Siamo grati per il suo servizio”, ha detto lo Speaker della Camera, Paul Ryan, uno dei leader del Partito Repubblicano: era “una voce chiara, coerente e potente per gli interessi americani e principi democratici sulla scena mondiale”.

Haley ha annunciato di non avere intenzione di correre per le elezioni del 2020, ma farà campagna elettorale per il secondo mandato di Trump, ed è stato un messaggio verso chi pensava che potesse scegliere una strada diversa. “Non sono d’accordo con il presidente su tutto: quando c’è disaccordo, c’è un modo giusto e un modo sbagliato per affrontarlo, prendo il telefono e lo chiamo o lo incontro di persona”, diceva in un fondo uscito sul Washington Post in cui rispondeva all’attacco feroce lanciato contro la presidenza da un insider che aveva firmato anonimamente un editoriale pubblicato dal New York Times.

 

 

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