Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Tutti i fronti aperti negli Stati Uniti sul caso Khashoggi

Khashoggi

Funzionari dell’intelligence turca avrebbero detto ai colleghi statunitensi di essere in possesso di video e audio che provano che il giornalista Jamal Khashoggi è stato ucciso all’interno del consolato saudita di Istanbul da una squadraccia dei servizi segreti di Riad. Lo scrive per primo il Washington Post – giornale che pubblicava Khashoggi – che ha avuto informazioni sia dai turchi che dagli americani.

È per l’esistenza di queste prove schiaccianti, ipotizza il WaPo, che Ankara ha immediatamente accusato Riad per l’assassinio dell’editorialista spesso critico col nuovo corso del regno, e innescato una crisi diplomatica che ha messo gli Stati Uniti in mezzo a due alleati storici, non ancora ufficialmente ai ferri corti solo perché tutte le indiscrezioni sono state fatte uscire tramite i media e mai su canali ufficiali turchi.

Washington è ferma: il paese che più di tutti garantisce la protezione politica internazionale ai sauditi grazie a un’alleanza consolidata e rinvigorita dall’amministrazione Trump, è bloccato, chiede che venga fatta chiarezza, il presidente Donald Trump dice che bisognerà essere “severi” (anche perché il Congresso è in subbuglio e lo pressa).

Ma gli Stati Uniti – rimproverati in questi giorni per far bene poco, per aver abdicato al ruolo guida ideale sulle faccende globali dei diritti che finora ha avuto la loro politica estera, e accusati di aver avuto informazioni sui rischi che Khashoggi (che viveva autoesiliato in Virginia) stava correndo – hanno un problema tecnico. A Riad, come ad Ankara, non c’è un ambasciatore amaricano. In Turchia il Chargé d’Affaire è stato nominato, dopo un vuoto di mesi, ad agosto (si chiama Jeffrey M. Hovenier, mentre John Bass, l’ambasciatore ora spostato in Afghanistan, è stato disconosciuto lo scorso ottobre dai turchi in mezzo a una diatriba diplomatica). In Arabia Saudita l’incaricato per gestire gli affari correnti è Christopher P. Henzel, con il vecchio ambasciatore Joseph W. Westphal che ha terminato la sua missione a gennaio del 2017).

Questo significa che manca in termini pratici la figura in grado di gestire crisi come quella di Khashoggi; con motivi da ricercare nell’idea di lasciare al genero-in-chief Jared Kushner pieni poteri sui rapporti con i sauditi, visto le relazioni personali con l’erede al trono; e far mancare la nomina in Turchia come frutto, o meglio ripicca, di un allontanamento strategico.

Due giorni fa uno dei portavoce del dipartimento di Stato, Robert Palladino, ha dovuto sopportare davanti ai giornalisti il peso della situazione: pressato in briefing stampa dai giornalisti, ha detto che comunque c’erano “alti funzionari diplomatici” nei due paesi e che erano “molto responsabili” (però il ruolo di un incaricato d’affari, è gestire una sede per quel che riguarda le situazioni ordinarie: davanti un’emergenza del genere la questione è più delicata). Palladino ha anche alluso a colpe del Senato (un tipico atteggiamento trumpiano, prendersela con la lentezza di certe procedure burocratiche e amministrative, che sotto sotto puzzano di establishment), ma in realtà non ci sono nomine all’orizzonte.

L’amministrazione Trump sta faticando a riempire le caselle del dipartimento di Stato. Ci sono oltre quattro dozzine di paesi (tra cui posti chiave come Australia, Messico, Pakistan, Egitto, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Sudafrica, oltre Turchia e Arabia Saudita) che non hanno ambasciatori americani; e ci sono dozzine di uffici senza dirigenti, per esempio quello che si occupa di Medio Oriente, che è stato praticamente svuotato dalla precedente gestione e che è a secco di personale.

È un metodo operativo di Trump, che ha voluto intestarsi personalmente tutti i principali dossier di politica internazionale, chiedendo da subito tagli al personale perché ritiene certi dipartimenti diplomatici succhia soldi impolverati, e sebbene il clima sia un po’ cambiato con l’arrivo a Foggy Bottom del segretario Mike Pompeo, la rete diplomatica americana ha ancora tessere mancanti e vuoti sostanziali. Una sofferenza che davanti a certe crisi si percepisce negli atteggiamenti pratici. “C’è un vuoto di comprensione su quel che è successo [a Khashoggi]” ha detto un giornalista a Heather Nauert ieri, e la portavoce capo del dipartimento di Stato ha risposto che “siamo preoccupati” e per questo abbiamo chiesto all’ambasciatore saudita negli Stati Uniti spiegazioni: il capo della diplomazia del Regno adesso è a Riad a prendere informazioni per conto degli americani – ossia a fare il lavoro che l’ambasciatore statunitense avrebbe dovuto fare in Arabia Saudita.

×

Iscriviti alla newsletter