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Se la Lega pigliatutto, M5S rassicura la base. Il caso Trentino-Alto Adige

Le elezioni appena svolte in Trentino-Alto Adige sono state sicuramente un appuntamento politico importante, a livello regionale, e un esame rilevante per comprendere, a livello generale, le presenti linee di tendenza dell’elettorato italiano.

I risultati vedono il consolidarsi dell’asse Svp-Lega, il quale, praticamente in modo ineluttabile, statuirà la maggioranza multilinguistica richiesta per l’Alto Adige.

Bisogna ricordare che il centrodestra aveva un consenso assai limitato nella regione alpina per eccellenza, la quale, per storia e tradizione, ha sempre avuto una forte attrazione per la sinistra.

Il Pd a Bolzano è ora al 12%, il Svp al 16,6, mentre la Lega vola al 27 %, sfruttando anche l’arresto a poco più del 3 % di FI. Il Svp, molto forte a livello provinciale è calato tuttavia di qualche punto, garantendosi un solido 41 %. Mentre ben diversa è la situazione per il Team Koellensperger, ex grillino, che con la sua lista civica la quale fa un vero exploit, arrivando in Alto Adige al 15, 2% e a Bolzano al 7%.

Nella provincia di Trento, invece, il centrodestra, guidato dal leghista Maurizio Fugatti, (in foto), è al 44%, seguito dal candidato del centrosinistra Giorgio Tonini al 27%.

Ad apparire, malgrado non si abbiano ancora dati definitivi, è un quadro molto aderente alle esigenze regionali, dove i partiti locali, da sempre forti, hanno beneficiato in modo peculiare dell’attuale situazione.

Si sa, d’altronde, l’esigenza vera che guida costantemente soprattutto gli altoatesini è la propria autonomia, una libertà che è stata finora veicolata e raccolta dal Volks Partei. Adesso, però, con l’ascesa a livello nazionale di un movimento di consolidate idee identitarie e comunitarie, com’è la Lega, è chiaro che questa esigenza tipica dell’elettorato trova una sua rappresentanza anche dal punto di vista italiano, e non unicamente dal lato delle minoranze linguistiche tedesche.

Ecco così che, in definitiva, oltre i numeri stessi il vero vincitore anche stavolta è Matteo Salvini. Se, infatti, il centrosinistra sta vivendo storicamente a livello nazionale la sua crisi di maggior rilievo, è chiaro che anche nel Trentino la proposta della destra sembra catalizzare comunque una maggiore attrattiva.

Il fatto vero è che il mondo è ormai cambiato: la propensione centripeta ad articolare il proprio interesse sul territorio, guardando al vicino per vedere lontano, è il vero processo che sembra reggere la prova del tempo, profilandosi come inarrestabile evoluzione europea. Viene dato, insomma, consenso a chi garantisce la difesa del particolare, con annessa e connessa l’autonomia comunale, provinciale e regionale, con delle credenziali non soltanto nazionali ma anche internazionali: tutto ciò finisce per premiare la Lega molto di più del M5S.

I grillini, infatti, attraggono ancora molto soprattutto per la discontinuità e la protesta antisistema e per le promesse assistenzialiste, ma divisioni interne ed estremismo utopista non sembrano sempre bastare a convincere la base: basti pensare all’attacco del ritornato Beppe Grillo alla Presidenza della Repubblica, smentita dallo stesso movimento. La Lega, per contro, nonostante le contraddizioni di un accordo di governo che la spinge verso politiche spesso in contraddizione con il suo elettorato conservatore, tiene, cresce e aumenta i suffragi ovunque.

Tutto si recita, ovviamente, in vista delle elezioni europee del prossimo anno. E perciò, prima di allora, nessun pronostico sarà affidabile. Anche il risultato del Trentino-Alto Adige suggerisce, in ogni caso, che se la discrepanza di voti tra grillini e leghisti dovesse crescere troppo, la longevità del governo Conte potrebbe improvvisamente accorciarsi, e tutto potrebbe tornare a traballare in Italia dal punto di vista politico.

Vedremo cosa accadrà. Sicuro è unicamente il fatto che sia a livello europeo, sia a livello nazionale rimane la nuova tendenza generale al locale, un processo di riforma degli equilibri politici i cui veri autori non sono Salvini e Di Maio ma gli elettori e la gente comune di tutto il mondo, non solo del nostro continente. Perché, in buona sostanza, alla globalizzazione tecnocratica universale tutti sembrano preferire la mondializzazione localistica, interpretata come vera democrazia, all’interno e al di sotto della nazione.

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