Caro Matteo non ho mai condiviso il tentativo di dipingerti come un energumeno, capace solo di far danni. La politica non può essere solo un susseguirsi di belle parole che invitano alla fratellanza e alla solidarietà. La pace perpetua, sognata da Emmanuel Kant, come la sua caratterizzazione soprattutto giuridica, è rimasta lettera morta. Dal 1795, epoca in cui proposta, si sono succedute le guerre peggiori nella storia dell’umanità.
La politica, specie in questa fase, è forza e verità. Forza contro coloro che praticano la logica della sottomissione. Verità rispetto a quella massa di cittadini stanca di prediche inutili, destinate a divenire sempre più stucchevoli. Sentirle ancora oggi, dopo dieci anni di recessione – quelli alle nostre spalle – può solo far crescere una rabbia giustificata. Ma tutto ciò non può significare una fuga nell’irrazionalismo.
L’Italia, nel corso di questa discussione sulla manovra di bilancio, ha giocato una pessima partita. Di fronte alla compagine europea forse non poteva vincere, ma almeno pareggiare. Ed invece non è riuscita a spiegare le sue buone ragioni, ad un’Europa che, dal canto suo, non voleva capire. Ne è derivato un dialogo tra sordi, degenerato in rissa, che sta penalizzando il nostro Paese.
L’errore principale è stato quello di insistere, oltre ogni logica, sul dato del deficit di bilancio, presentato come una vittoria – le manifestazioni dal balcone di Palazzo Chigi – contro Giovanni Tria ed i tecnici del Tesoro. Coloro che si oppongono al cambiamento ed all’inarrestabile ascesa dei 5 stelle, costretti a tentare di arginare lo smottamento dei rapporti di forza con la Lega, che si intravede nei più recenti sondaggi. Una drammatica sciocchezza.
Invece di farsi irretire nella logica dei piccoli numeri della finanza pubblica, occorreva partire dai grandi squilibri macroeconomici che caratterizzano la realtà italiana. E che sono all’origine della lunga crisi del Paese. Argomento tutt’altro che fuori portata rispetto alle stesse regole europee. Indicato nelle tavole della legge, ma poi rimosso dalle prassi relative, essendosi rilevato troppo ingombrante proprio per quei partner – la Germania e non solo – che dominano il campo.
L’Italia, rompendo ogni dipendenza culturale con la narrazione degli anni passati, doveva dire che un surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, pari ad oltre il 2,5 per cento, che si protraeva nel tempo, non era più sostenibile. Dato il livello di disoccupazione strutturale. Che un Paese, profondamente ferito negli squilibri sociali così evidenti, non poteva più tollerare che una parte così rilevante del suo risparmio risultasse inutilizzato. E quindi, più che proporre, addirittura pretendere una modifica, anche anticipata, del Fiscal Compact, superando ogni fisima burocratica.
A difesa avrebbe potuto citare le buone prassi individuate da tempo dal Fmi. Quelle che prescrivono politiche fiscali di contenimento per i Paesi in deficit. E politiche espansive per i Paesi in surplus. Prassi che poco hanno a che vedere con le rigidità del Patto di stabilità. E se questo non fosse bastato, avrebbe potuto chiedere di seguire quanto proposto dal Documento dei 5 Presidenti – Juncker e Draghi in testa – per risolvere, come indicato, il problema degli squilibri macroeconomici: al fine di rendere più forte la stessa Europa.
Tutto ciò non è avvenuto ed, oggi, se ne pagano le conseguenze. Nonostante le buone intenzioni, la manovra non aumenterà il tasso di crescita dell’economia italiana in modo significativo. Alla maggior domanda interna corrisponderà una contrazione dell’offerta, a causa di un marasma finanziario che rischia di divenire pertinente. In compenso alla fine del triennio dovremo far fronte ad un debito maggiore per circa 118 miliardi di euro. Pari al 70 per cento dell’intero gettito irpef (2016).
Paolo Savona ha sottolineato ancora una volta che si può puntare, in un paio d’anni, ad una crescita del 2 per cento. Non abbiamo motivi per dubitarne. Ma per rendere realistica quell’ipotesi è necessario intervenire non solo sugli investimenti, il cui effetto concreto si manifesta con il ritardo imposto dalle mille regole burocratiche e le grandi inefficienze amministrative, ma sul carico fiscale complessivo. La cenerentola di questa manovra. Ma il tempo stringe. E se la politica economica del prossimo triennio sarà soprattutto caratterizzata dalla crescita della spesa corrente, Cenerentola non incontrerà mai il suo principe azzurro.