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Macedonia, flop il referendum sul nome: addio a Ue e Nato?

Macedonia

Non raggiunge l’affluenza minima del 50% il referendum (consultivo e non vincolante) in Fyrom per avallare il cambio di nome e il nulla osta di Atene all’igresso di Skopje in Ue e Nato. La disputa, che durava dal 1991, come coda velenosa che ha attraversato il conflitto balcanico post scomposizione jugoslava, era stata risolta lo scorso giugno dalla firma dell’accordo di Prespa tra i due premier, Alexis Tsipras e Zoran Zaev. Ma la battuta di arresto di ieri potrebbe avere, adesso, effetti indefiniti.

FLOP

Si ferma al 36,8% l’affluenza. Dei 630mila votanti, circa il 90% si è espresso per il sì. È la ragione per cui il premier Zoran Zaev ha annunciato che non si dimetterà: “È stato un referendum di successo, la maggioranza dei cittadini ha votato sì. Parleremo con i nostri avversari in Parlamento e se avremo la maggioranza dei due terzi per le modifiche costituzionali andremo avanti con l’attuazione dell’accordo con la Grecia. Se non l’avremo andremo alle urne anticipate, già in novembre”.

Di fatto dovrà chiedere i voti all’opposizione di Vmo-Dpmne che può contare su 49 seggi in Parlamento (su 120), sufficienti per impedire l’approvazione dell’accordo da parte di due terzi (80 voti) richiesta per la revisione della Costituzione.

OPPOSIZIONE

Il partito conservatore ha lasciato la patata bollente nelle mani del governo socialdemocratico. È la ragione per cui ufficiosamente ha dato libertà di scelta ai propri sostenitori che, sin dall’inizio, sono stati molto critici sull’accordo di Prespa.

Il suo leader, Christian Mitskoski, descrive l’esito del referendum come una “luce rossa per accordo”, aggiungendo che i cittadini hanno inviato un forte messaggio sulla Macedonia, sulla lingua e sull’identità. Pesa il risultato come un messaggio alla “politica criminale del governo” dal momento che la gente “vuole l’Ue e la Nato ma non questo accordo”. E ancora: “Zaev deve rendere conto dell’accordo e della presa in giro della comunità internazionale per il torto”.

Nel 1993 l’Onu accettò la Macedonia a patto che il suo nome ufficiale fosse Fyrom (Former Yugoslav Republic of Macedonia). Il quesito posto era: “Sei favorevole a entrare nella Nato e nella Unione Europea, e accetti l’accordo tra Repubblica di Macedonia e Grecia?”

QUI SKOPJE

Il dibattito a Skopje e dintorni verte sul fatto che il premier non è riuscito a far digerire un accordo che comprendeva la non garanzia di lingua e identità per accettare un cambio di nome, dal momento che la carta di Prespa prevedeva che Fyrom rinunciasse a rivendicazioni passate in cambio del nome Macedonia del nord. Per cui all’interno del paese ha trovato fiato la posizione espressa dal presidente Gjorgji Ivanov che, assieme all’opposizione, ha toccato il tasto della svendita parlando di “suicidio politico”. A ciò si aggiunga una battente campagna social che incitava a boicottare le urne.

In questo quadro poco ha potuto incidere il fatto che molti players occidentali come la cancelliera Merkel, l’austriaco Kurz, il capo della Nato Stoltenberg abbiano fatto visita a Skopje alla vigilia del referendum. A favore del sì referendario si erano espressi pubblicamente anche il Segretario di Stato americano Mike Pompeo (“Gli Stati Uniti si congratulano con il popolo macedone per lo storico accordo di Prespa), il ministro della difesa italiano Elisabetta Trenta (“Pieno sostegno ad aspirazioni euro-atlantiche”), e il premier albanese Edi Rama che aveva invitato i cittadini presenti in Albania a recarsi alle urne. Contrarie le voci di alcuni intellettuali e studiosi che erano scesi in piazza contro il cambio nome colpevole di negare “la sovranità costituzionale della Macedonia”.

QUI ATENE

Mastica amaro il premier Alexis Tsipras che comunque ha inviato un messaggio di solidarietà a Zaev (“La tua generosità è la tua insistenza sull’accordo di Prespa”). Ma da domani dovrà fare i conti con la fronda interna contraria all’accordo, incarnata dalle opposizioni conservatrici di Nea Dimokratia, dalla Chiesa Ortodossa e dai movimenti nazionalisti. Tutti sono scesi in piazza dallo scorso giugno ad oggi per dire no all’accordo e sperano che in occasione delle elezioni europee di maggio 2019, proprio sulla scia di questo risultato, si possano celebrare anche quelle politiche anticipate.

Il governo fa buon viso a cattivo gioco e il ministro degli Esteri, Nikos Kotzias, dopo aver ricordato che il referendum era consultivo e non vincolante, ha sottolineato che il messaggio che trasmette è contraddittorio: “La Grecia rispetta le scelte dei cittadini dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia”, ha affermato. Allo stesso tempo critica i nazionalismi estremi e aggressivi nella regione e invita tutte le parti a compiere passi con sobrietà per preservare lo slancio positivo dell’accordo di Prespa.

QUI UE

Non crede ad una battuta di arresto il Commissario europeo per l’allargamento Johannes Hahn che, commentando su Twitter l’esito del referendum, lancia un segnale alle opposizioni di Zaev in vista del prossimo passaggio parlamentare: “Mi congratulo con coloro che hanno votato e hanno usato le loro libertà democratiche. Con la percentuale significativa a favore del sì, c’è un ampio sostegno all’accordo di Prespa e al futuro euro-atlantico del Paese. Mi aspetto che tutti i leader politici rispettino questa decisione e la applichino con grande responsabilità e unità nel migliore interesse del Paese”.

twitter@FDepalo



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