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Riscrivere la manovra non è impossibile. Deciderà lo spread?

Qualcuno l’ha già definito il giorno del giudizio e forse ha ragione anche se i mercati in questi ultimi tempi ci hanno abituato a delle sorprese. Per esempio snobbando il downgrade di Moody’s della settimana scorsa o la bocciatura della manovra da parte dell’Europa (qui l’analisi di Davide Giacalone). Attenzione, non che lo spread non sia risalito, ci mancherebbe. Ma a dispetto dei vari Armageddon più volte annunciati la situazione è rimasta tutto sommato sotto controllo. Ora però le cose potrebbero cambiare.

Non solo perché il giudizio sul debito italiano arriverà dalla più autorevole tra le agenzie di rating, Standard&Poor’s ma anche perché quasi certamente il debito italiano verrà portato solo un gradino più alto del livello junk, spazzatura. La domanda a questo punto è: i mercati sono pronti a un secondo declassamento nell’arco di una settimana (Moody’s si è espressa nella notte di venerdì scorso)? E qualora non lo fossero, come reagiranno? Di certo c’è che un secondo knock out con ipotetiche conseguenze sullo spread costringerebbe il governo a rimettere mano, anche pesantemente, alla manovra appena respinta dall’Europa, pena il collasso dello stesso debito italiano.

A due giorni dal verdetto del 26 ottobre di Standard&Poor’s ha dunque senso chiedersi, che cosa succederà? Questa mattina gli analisti di Union Bancaire Privée (Ubp), una delle maggiori banche svizzere, hanno dato una loro lettura della situazione. Al momento l’agenzia americana colloca l’Italia sulla tripla B: la diminuzione di un gradino porterebbe dunque il merito di credito a BBB -, anche in questo caso al limite minimo dell’investment grade (il junk per S&P parte da BB+).

“Data la fluidità degli sviluppi, ci aspettiamo che S&P segua le orme di Moody’s e si muova di una tacca al massimo in questa fase, in attesa di ulteriori informazioni. Inoltre, riteniamo che sia nell’interesse e della Commissione europea e del governo italiano raggiungere una sorta di compromesso sulla Legge di bilancio, invece di alimentare una ulteriore e più forte ondata di pessimismo”, afferma il gruppo svizzero. Un’altra ipotesi è che S&P possa lasciare invariato il rating della tripla B, ma abbassare il giudizio a negativo dall’attuale livello di stabile.

In ogni caso lo scenario è cupo. Nel breve la tensione si allenterà. “La situazione potrebbe peggiorare prima di migliorare, in quanto i membri del governo hanno citato uno spread di 400 punti base come livello al quale sarebbero costretti ad adeguare i loro piani di bilancio, il che suggerisce che da parte loro potrebbero non esserci passi indietro imminenti, agli attuali livelli di spread”. In effetti l’esecutivo, in primis il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha detto di essere pronto ad agire sull’attuale testo della legge di Bilancio qualora il differenziale Btp/Bund dovesse salire a 400 punti base.

In quel caso i titoli emessi sul mercato dal Tesoro diverrebbero molto meno appetibili di quanto lo sono ora, perché per venderli il governo dovrebbe pagare interessi su ogni emissione così alti da rendere praticamente insostenibile l’onere: sarebbe l’insolvenza, il fallimento. In Giappone, per esempio, si stanno già tenendo pronti, come spiegato poche ore fa da Nomura, prima banca d’affari nipponica. “Non c’è il fuggi-fuggi, ma il momento delicato si profila verso fine mese: se i termini dell’eventuale declassamento del debito italiano da parte di Moody’s e Standard&Poor’s dovessero spingere lo spread oltre quota 400 o fin verso 500, allora diventerebbe impervio comprare”, hanno spiegato dalla banca. Perché, se non fosse abbastanza chiaro, se pure ritiene solidi i fondamentali dell’economia italiana, Nomura è tra coloro che ritengono troppo ottimistiche le stime governative sul Pil 2019.


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