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L’Europa, i mercati e lo spread. Non è ancora detta l’ultima. Parla Garonna

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Vero, la lettera con cui l’Ue ha bocciato il Def e dunque una buona fetta di manovra, non era acquafresca. Troppo un deficit al 2,4% per un Paese che cresce dell’1,1%, anche se rimane la terza economia d’Europa e la seconda manifattura. I mercati ci hanno evidentemente creduto, come dimostra il profondo rosso di questa mattina. Borsa a -2,3% e spread a 304 punti base, sette oltre la soglia psicologica dei 300. Chi paga dazio, nemmeno a dirlo, le banche nei cui bilanci si annidano tra i 150 e i 160 miliardi di Btp (qui l’approfondimento della settimana scorsa).

I più pessimisti potrebbero dire che l’Italia è alla frutta. Ma non Paolo Garonna, docente di economia politica alla Luiss che non ci sta a buttare tutto a mare prima del tempo. Gli errori si fanno e si pagano, ma da qui a parlare di tracollo, ce ne vuole. Punto primo, sbagliato separare il rapporto con l’Europa da quello con i mercati, perché l’uno è connesso all’altro. Chi ci compra debito non è così lontano da chi ci dice che la manovra, così com’è non va.

“La reazione dei mercati di questa mattina era prevedibile, perché essi agiscono sull’onda delle aspettative. Si tratta di una reazione diciamo attesa, anche perché l’attuale realtà economica del nostro Paese, in un certo senso, merita questo contesto”, spiega Garonna. Che sul rapporto Ue-Italia-mercati, ha un’idea precisa. “Non credo che si possa scindere il rapporto con l’Ue da quello con i mercati, sono due cose profondamente interconnesse tra loro. Il problema a dirla tutta, non è il deficit al 2,4% perché se fosse stato concordato con l’Ue allora sarebbe diverso. Ma visto che sarebbe una nostra scelta, unilaterale e in disaccordo con la stessa Unione allora non andrebbe bene: noi abbiamo dei patti sottoscritti con l’Ue, non possiamo fare di testa nostra”.

L’analisi di Garonna prosegue, sviscerando il problema. “Non dimentichiamoci che loro sono anche i nostri creditori visto che il grosso del nostro debito è in Europa. Noi li abbiamo innervositi, come si può innervosire un creditore. Perché, vede, se io entro in un negozio e dico che sono indebitato ma dico anche che non ti pago, allora l’atteggiamento non va. Se invece dico che farò di tutto per pagarti allora è un’altra cosa, ci sono delle attenuanti. Questo per dire che le parole e gli atteggiamenti verso l’Europa contano, hanno il loro peso. E non dimentichiamoci, mai, che i nostri conti non sono solo un nostro problema sono anche un problema per l’Europa. Si tratta del valore della comunicazione”.

Garonna tuttavia non fa fatica a vedere il bicchiere mezzo pieno. “In ogni caso io mi sento fiducioso. Il tracollo non c’è stato e il nostro debito continua ad essere sostenibile, i mercati non ci hanno ancora voltato le spalle, continuano a darci del sostegno. Certo non nego l’evidenza, questo Paese è fermo da 20 anni, non cresce e non dà la giusta spinta alle imprese. Ma ricordiamoci sempre e comunque che siamo un grande Paese, che negli ultimi anni ha fatto delle riforme importanti”.

Certo, il tema scottante sono le banche. Oggi tutti i principali titoli sono sotto pressione proprio a causa dell’enorme stock di Btp detenuti. Ma anche qui per Garonna non è tempo di sfaceli. Anzi.

“Le banche? Sono molto esposte, vero, ma anche qui facciamo un po’ di verità. Abbiamo ancora molto da insegnare, anche ai tedeschi. Abbiamo un modello ancora valido, robusto, le banche sul territorio in Italia sono un esempio buono in tutta europa, non ce lo dimentichiamo anche con uno spread alto. Negli ultimi anni abbiamo rivoluzionato l’intero sistema con delle riforme profonde e oggi le nostre banche sono in Europa e operano in essa. Semmai stavolta, con tutto il rispetto del problema debito, è più l’Ue che non deve penalizzare i nostri istituti con delle riforme incomplete”.

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