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Il mercato premia la manovra gialloverde. Ma le imprese no

Non era facile criticare la manovra approvata ieri sera poco dopo le 22 con la Borsa a +1,1% e lo spread a 296 punti base, dieci punti in meno rispetto a mezzora prima che iniziasse il Consiglio dei ministri. I mercati hanno detto la loro, la manovra legastellata forse non fa più così paura come prima. Ma gli imprenditori forse sì, qualche remora ancora ce l’hanno. Meglio rassicurare al più presto la classe produttiva italiana, che questa mattina si è riunita in folta rappresentanza all’auditorium della Tecnica, in occasione dell’assemblea di Unindustria, l’associazione confindustriale delle imprese laziali.

La platea era di quelle ricche, circa un migliaio di piccoli e grandi imprenditori ad ascoltare gli interventi, in sequenza, del presidente Filippo Tortoriello, del numero uno di Confindustria, Vicenzo Boccia, il governatore del Lazio e candidato alla guida del Pd, Nicola Zingaretti, il presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani. Per il governo, invece, solo assenze. Era previsto infatti l’intervento di Matteo Salvini, l’azionista forte di Palazzo Chigi per dna o semplice scelta politica il più sensibile alle istanze delle imprese che però all’ultimo ha dato forfait.

Quando ieri sera è stata approvata la manovra, il grosso delle relazioni approntate per l’assemblea era già pronto per la lettura. Nella notte è stato giocoforza aggiornare i testi per infilarci più di una considerazione sulla prima ex Finanziaria colorata gialloverde. Il governo poteva fare peggio, certo, ma anche molto meglio. Non è in discussione tanto il menù approntato da Salvini e Di Maio, reddito di cittadinanza, pensioni e pace fiscale. Quanto l’architettura stessa della manovra, che con ogni probabilità verrà bocciata dall’Ue a fine novembre. Troppi soldi presi a deficit in cambio di poco pil. Insomma, più uscite che entrate e questo alle imprese non piace come non dev’essere piaciuta l’assenza di rappresentanti di governo.

Per questo quando il presidente di Unindustria Tortoriello ha detto che nella manovra c’è un problema di sostenibilità finanziaria, non ha fatto altro che dare il là alle considerazioni di Boccia. “Abbiamo sempre sperato che questo governo puntasse sulla crescita ed evitasse delle battute del tipo ‘ce ne freghiamo dello spread’. Ma così non è stato. Peccato perché il governo di un Paese con 2.300 miliardi di debito pubblico dovrebbe invece occuparsene eccome.  Solo un punto percentuale di spread vale 20 miliardi a regime, quindi bisogna preoccuparsi dello spread. Consiglierei a chi governa di preoccuparsi dello spread, lo dico nell’interesse di chi deve finanziare il debito pubblico”, ha attaccato Boccia. “La crescita significa essenzialmente sostenibilità di una manovra e apertura di cantieri non chiuderli. Parlo al governo: se volete crescere dovete aprire i cantieri, dovete tenere aperta la Tav, dovete tenere aperto il Tap, punto. Crescita significa aprire, non chiudere, dismettere!”.

C’è però qualcosa che più di tutto gli imprenditori non sopportano. Quell’Italy first dietro cui “questo governo si nasconde, perché fa del sovranismo un ostacolo a chi esporta. Io dico, con quale faccia parliamo di Italy first se poi a qualcuno dà fastidio il fatto che le imprese italiane oggi esportano 550 miliardi di beni all’estero. Chi e come può impedire questo? Si tratta della stessa ipocrisia con cui si dice di andare in Europa ad aprire un cantiere mentre lo si chiude in Italia”.

La sensazione che si è avuta al termine dell’assise è che la manovra abbia provocato una nuova frattura tra governo e imprese. Nessuno degli intervenuti, a cominciare dallo stesso Boccia, ha fatto qualcosa per nasconderlo. “Mi ha fatto riflettere che il risparmio delle famiglie aumenta perché -non è un buon segnale, chi risparmia ha paura del futuro. Siamo capaci solo con le dichiarazioni a fare aumentare lo spread. Evitare battute gratuite che servono solo a fare aumentare lo spread e che riguarda famiglie, cittadini e anche lo Stato”.



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