Dieci anni fa, nel marzo 2008, Angela Merkel parla alla Knesset israeliana. Nel lungo discorso che è iniziato in ebraico, si è svolto in tedesco e si è concluso in ebraico, la Cancelliera ha parlato delle ragioni storiche che legano Germania e Israele, cioè la Shoah, e delle relazioni politiche, culturali e scientifiche che continuano a intensificarsi. “La sicurezza di Israele fa parte della raison d’état della Germania”, disse allora Merkel, ma in molti si chiedono il significato di questa frase alla luce della politica tedesca verso l’Iran.
Il tradizionale rifiuto pubblico verso tutto ciò che è o suona tedesco è in Israele superato. La diplomazia pubblica della Germania è riuscita a creare una nuova immagine del Paese. Gli studi di lingua e letteratura tedesca si diffondono; le opportunità di studio e ricerca in Germania aumentano ogni anno; i finanziamenti a ricerche congiunte tra università israeliane e tedesche in diversi settori aumentano; e la comunità israeliana a Berlino conta numerosi giovani e meno giovani, intellettuali e artisti che importano in Israele nuovi stili e mode.
Non solo relazioni culturali. Le relazioni militari tra Berlino e Gerusalemme sono state per decenni discrete. Due anni fa, uno scandalo politico in Israele fa parlare dei 6 sottomarini costruiti in Germania per Israele e altri 3 ancora da fornire, classe Dolphin – con 16 siluri e missili da crociera. Nel 2016 per la prima volta la stampa israeliana e tedesca parla di esercitazioni militari congiunte, rompendo un tabù culturale che all’ombra del Shoah faceva vedere con sospetto ciò che era sia esercito sia tedesco.
La Repubblica Federale è il primo Stato europeo che ha preso con serietà il fenomeno del nuovo antisemitismo, cioè quello che ha a che vedere con Israele e il sionismo. Solo di recente: un giudice che non ha ritenuto antisemita un attacco a una sinagoga come segno di protesta alla politica militare israeliana; gli allarmi delle agenzie di intelligence sul sentimento antisemita che si diffonde con l’importazione del conflitto arabo-israeliano; l’inquietudine di fronte al rafforzamento dell’estrema destra; un arabo israeliano preso a cinghiate perché portava una kippah per le strade di Berlino.
La Germania si è dotata di un esperto di antisemitismo, Felix Klein, un commissario nominato ad aprile di quest’anno che ha un’agenda molto chiara: un database di episodi antisemiti, inasprimento delle pene per crimini a motivo antisemita, lotta al movimento de boicottaggio contro Israele.
Ma parte dell’establishment politico israeliano vede nelle posizioni della Germania indirizzi contrari alle dichiarazioni politiche. I due principali motivi di scontro: la visione tedesca del conflitto coi palestinesi e la posizione di Berlino sull’Iran.
Dopo la prima visita di Merkel nel 2008, Netanyahu sperava di trovare nella Germania un alleato che appoggiasse Israele a che nei fora internazionali. Tranne rare occasioni – come l’opposizione a che l’Autorità Palestinese divenisse membro dell’UNESCO com’è Stato di Palestina – la Germania ha sempre allineato il voto alla politica di Bruxelles, sia al Consiglio dei Diritti Umani sia all’Assemblea Generale – comprese le risoluzioni di condanna dopo l’operazione militare Margine Protettivo nel 2014 e la risoluzione contro la decisione USA di spostamento dell’Ambasciata a Gerusalemme.
Nel 2015 Netanyahu esprime il proprio disappunto, e Merkel critica la politica degli insediamenti, sostenendo che Israele non fa abbastanza per avanzare la pace. Da Israele sono allora aumentate le campagne contro i finanziamenti delle “Stiftungen”, le fondazioni legate ai partiti politici. Una serie di report dell’istituto NGO Monitor ha criticato le scelte delle Stiftungen in Israele e nei Territori Palestinesi, evidenziando i finanziamenti a gruppi che avanzano il boicottaggio o l’anti-normalizzazione (l’opposizione al dialogo e alla cooperazione con Israele). Di recente, Merkel sarebbe stata avvicinata da diversi gruppi politici per impedire il trasferimento del campo beduino Khan al-Ahmar nell’area Jahalin West costruita dalle autorità israeliane – decisione criticata perché favorirebbe gli insediamenti attorno a Gerusalemme.
Nel 2017, il Ministro degli Esteri tedesco in visita in Israele incontra il gruppo politico “Breaking the Silence”, che attraverso testimonianze anonime di soldati vuole dimostrare come la violazione del diritto internazionale umanitario si pratica diffusa tra i ranghi dell’IDF. Netanyahu cancella l’incontro e critica la scelta, che però viene difesa da Merkel.
Il vero punto di disaccordo tra i due governi è la questione iraniana. Merkel ha appoggiato l’accordo generale sul nucleare iraniano e con la Francia sta tentando ora di trovare una soluzione per evitare le sanzioni americane continuando a fare affari con gli iraniani.
Il primo caso: un trasferimento di 300 milioni di EUR da una banca iraniana con sede ad Amburgo a Teheran – in esame le potenziali sanzioni americane che si applicherebbero al bonifico più grande della storia bancaria tedesca. Berlino si trova poi in questi giorni in una posizione assai delicata: ha in custodia uno degli operativi iraniani (a quanto pare un diplomatico con sede in Austria) che avrebbero pianificato l’attentato contro l’opposizione iraniana in Francia, sventato sulla base di informazioni passate dal Mossad israeliano.
Merkel riceverà il terzo dottorato ad honorem, dall’università di Haifa che segue Gerusalemme e Tel Aviv nei titoli onorifici alla Cancelliera. Incontrerà Netanyahu, il Presidente Rivlin e visiterà il Memoriale della Shoah Yad Vashem, cui seguiranno incontri G2G.
Il tentativo di Gerusalemme è convincere Merkel che l’Iran è il primo pericolo per Israele e che le decisioni della Casa Bianca sono efficaci per contrastare la demonizzazione di Israele. Merkel vorrà concludere solo ulteriori accordi economici e scientifici o tenterà di mitigare i timori israeliani verso Teheran, cui vuole continuare a esportare i propri prodotti, e modificare la politica sugli insediamenti, che ritiene, com’è la linea di Bruxelles “l’ostacolo alla pace”?