Dialogo sì, cooperazione anche, ma sempre nel rispetto dei diritti umani e dei trattati internazionali. Questo il messaggio che il ministro degli Esteri Moavero Milanesi e l’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia Lewis Eisenberg hanno lanciato in direzione Mosca questo lunedì dal Centro Studi Americani intervenendo alla terza edizione del Transatlantic Forum on Russia, evento che ha visto protagonisti esperti, politici e accademici italiani, russi e americani per avvolgere la matassa delle complicate relazioni della Russia con l’Occidente. Il tema è quanto mai attuale, vista la scelta di Donald Trump di sfilare gli Stati Uniti dall’accordo Inf firmato nel 1986 da Michail Gorbacev e Ronald Reagan per porre fine alla proliferazione missilistica da una parte e dall’altra della cortina. Una mossa che rischia di andare ben oltre l’azzardo negoziale. E soprattutto non rende facile il gioco a John Bolton, consigliere per la Sicurezza Nazionale alla Casa Bianca in questi giorni a Mosca per incontrare Vladimir Putin e provare a fissare un secondo meeting bilaterale dopo il faccia a faccia di Helsinki a luglio.
In questo quadro si inserisce il viaggio di Giuseppe Conte in Russia dove domani incontrerà Putin. Dalla sede della Stampa Estera Conte ha squarciato il velo sul programma: “L’ho detto già dal G7, bisogna arrivare a un G8 con Putin attorno al tavolo, così possiamo affrontare e risolvere i problemi che attualmente stentiamo a risolvere perché non siamo tutti intorno a quel tavolo”. Un proposito che ha già destato molti dubbi a Washington quest’estate, e va di pari passo con un altro mantra del governo gialloverde. La revisione, espressamente prevista dal contratto di governo, delle sanzioni europee contro Mosca per l’annessione della Crimea e la presenza militare nel Donbass che, dice Conte, “non costituiscono un fine, sono un mezzo”. “Ci rendiamo conto che sono legate agli accordi di Minsk e vanno ricollegate ad essi” ha spiegato ai cronisti, “ma non è con le sanzioni che risolveremo il problema”.
Dal Centro Studi Americani gli ha fatto eco il ministro degli Esteri: “Non sanzioni punitive, come contrappeso di un comportamento, ma come stimolo e strumento per il raggiungimento dell’obiettivo, che è il ristabilimento della legalità secondo il diritto internazionale e l’applicazione degli accordi di Minsk sottoscritti da tutte le parti contraenti”. Il recesso degli Stati Uniti dal trattato Inf annunciato da Trump angustia non poco la Farnesina, ha spiegato Moavero: “Dobbiamo capire meglio la posizione degli Usa, il problema dei missili può preoccupare chiunque”. Con un lungo riepilogo degli ultimi 70 anni di politica estera italiana Moavero ha raccontato un’Italia rimasta sempre “alla frontiera” fra il blocco occidentale e quello sovietico, che però ha avuto la lungimiranza di fare dell’Alleanza Atlantica e dell’integrazione europea “i due pilastri entrati nel dna della Repubblica”. Oggi, ha ribadito Moavero, il governo italiano ha tutto l’interesse a lavorare a stretto contatto con i russi “nel formato Normandia” e grazie all’Osce, di cui quest’anno l’Italia è presidente. Un canale aperto fra Roma e Mosca è utile anche e soprattutto per la stabilizzazione della Libia. Ci sono grandi aspettative sulla conferenza internazionale per la Libia convocata da Conte a Palermo il 12-13 novembre: “dobbiamo lavorare per la stabilità di un Paese che dista solo 200 miglia marine da noi, ci aspettiamo una partecipazione qualificata di Stati Uniti, Russia e tutti i Paesi europei” ha detto Moavero. Quanto agli accordi di Minsk, il ministro ha anticipato che l’Italia chiederà a Bruxelles un allentamento delle sanzioni che “ricadono prevalentemente su società civile civile russa”: “stiamo discutendo in sede Ue la possibilità di avere trattamenti più favorevoli per le pmi russe”. Toni ben distanti da quelli del vicepremier leghista Matteo Salvini, che ha recentemente definito le sanzioni una follia “economica, sociale, politica”, ma pur sempre troppo accondiscendenti per il governo americano.
“Siamo d’accordo con l’Italia, abbiamo bisogno di dialogo e diplomazia con la Russia” ha ricordato l’ambasciatore Eisenberg dal Csa, “ma c’è bisogno anche delle sanzioni, l’unico mezzo diplomatico che può dissuadere la Russia da future invasioni, le parole non sono abbastanza”. La prova della loro efficacia? Semplice, dice Eisenberg: “se non avessero effetto la Russia non farebbe di tutto per rimuoverle”. L’ex presidente dell’autorità portuale di New York ha poi voluto smontare quelli che definisce “luoghi comuni” sulle sanzioni Ue: “queste sanzioni non sono indiscriminate, ma mirate contro i ricchi settori dell’energia dove comanda un inner circle di potenti che influenza la politica del governo russo, non contro manifatturiero, agricoltori e allevatori”. “Non si parla di business, ma di mostrare il nostro supporto ai cittadini ucraini finché l’aggressione russa continua, togliere le sanzioni manda un messaggio sbagliato”. Un milione e mezzo di sfollati, migliaia di morti e centinaia di civili che perdono la vita tutte le settimane. Sono queste le cifre del conflitto in Donbass ricordate da Eisenberg, che ha parlato della “peggiore crisi umanitaria europea dalla guerra in Bosnia”. Ciò nulla toglie alla volontà di Washington di “curare, anzi implementare il dialogo con la Russia”. Senza però mai dimenticare, ha concluso l’ambasciatore, che il governo russo “prova ad assassinare i dissidenti, come abbiamo visto in Regno Unito, e vuole prevalere con la forza, la guerra ibrida e psicologica, creare caos e confusione in Europa, perché un’Europa debole e divisa è l’ideale del progetto russo”.