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La Nato guarda ancora a est. Tutto pronto per l’esercitazione “più grande”

Cinquantamila soldati da 31 Paesi, a bordo di oltre diecimila veicoli militari per terra, aria e acqua. Sono i numeri di Trident Juncture 2018, l’esercitazione più grande della Nato dal 2002, che andrà in scena in Norvegia tra qualche settimana. Le operazioni “lanceranno un messaggio di solidarietà tra gli alleati”, ha detto il segretario generale Jens Stoltenberg. Nonostante tutte le rassicurazioni, i segnali indicano nella Russia di Vladimir Putin il suo destinatario. E se si considera che di recente proprio i russi hanno organizzato la mastodontica Vostok-18, si inizia ad avvertire una certa aria da guerra fredda.

I NUMERI

Sono circa 50mila i soldati impegnati nelle operazioni, per la totalità dei Paesi della Nato oltre ai partner Svezia e Finlandia. Solcheranno la Norvegia 150 velivoli, 65 unità navali e 10mila veicoli terrestri. Per avere un’idea, è come avere una fila di oltre 92 chilometri di mezzi miliari, impegnata in un Paese per due settimane, dal 25 ottobre al 7 novembre. “Dovremmo sperimentare le nostre operazioni logistiche e dimostrare che siamo pienamente capaci di ricevere grandi forze alleate”, ha detto di recente Tor Mikkel Wara, numero uno del ministero della Giustizia a cui fa capo gran parte del supporto civile alle operazioni.

GLI OBIETTIVI

Oltre al territorio norvegese, Tridente Juncture coinvolgerà aree del nord Atlantico e del mar Baltico, compresa l’Islanda e lo spazio aereo tra Finlandia e Svezia. L’obiettivo è prima di tutto quello di esercitare le forze in operazioni di grossa portata. In tal senso, la priorità per la Nato è testare i comandi, la capacità di operare insieme “e di essere pronti a rispondere a ogni tipo di minaccia proveniente da qualsiasi direzione”, spiega l’Alleanza. Poi, c’è l’obiettivo della deterrenza, ovvero dimostrare ai propri avversari la capacità di cui si dispone.

IL COMANDO

A guidare l’esercitazione sarà il comandante del Joint Force Command (Jfc) di Napoli, l’ammiraglio statunitense James G. Foggo. Lo farà “a bordo della mia nave preferita la USS Mount Whitney”, una nave comando di forza anfibia (classe Blue-Ridge), in servizio dal 1971 e utilizzata con funzioni di comando dal 2005. Con pochi armamenti e torrette visibili, la nave è contraddistinta da una moltitudine di antenne, che le permettono di comunicare a grande distanza con le altre unità coinvolte in operazioni. Non solo. “La nave è anche in contatto con le unità e le capacità che prendono parte all’esercitazione; a bordo, l’ammiraglio Foggo potrà prendere il telefono e parlare praticamente con ogni marinaio, soldato, marine o aviere”, spiega il Jfc di Napoli. Per la USS Mount Whitney, “sarà interessante; non abbiamo mai operato così a nord”, ha ammesso il comandante Robert Aguilar. “La nave – ha aggiunto – non avrà problemi; ci stiamo preparando appositamente per essere sicure di essere equipaggiati con abbigliamento, ormeggio, attrezzatura per il cattivo tempo e tutto ciò di cui avremo bisogno per operare in un ambiente tanto difficile”.

LA PARTECIPAZIONE ITALIANA

Alle operazioni partecipano anche i soldati italiani. A fine agosto è sbarcato in Norvegia, nel porto di Andalsness, il primo nucleo di personale e di mezzi del nostro dispositivo militare, su base 132esima Brigata corazzata “Ariete”, rinforzata con il 187esimo reggimento paracadutisti “Folgore”. Le Forze armate italiane, con circa 1.200 uomini dei reparti che costituiscono la Very high readness joint task force (Vjtf, unità di prontezza operativa dell’Alleanza la cui responsabilità è a rotazione annuale tra i Paesi membri) parteciperanno all’esercitazione. A inizio ottobre, tra l’altro, durante un’attività di ricognizione, sette militari italiani sono stati coinvolti in un incidente stradale nel nord del Paese, rimanendo “lievemente feriti”. Il veicolo militare su cui viaggiavano è uscito di strada ribaltandosi a causa del ghiaccio presente sul manto stradale.

IL SEGNALE A MOSCA

Ad ogni modo, poco più di un mese della mastodontica operazione russa Vostok-18 (che di soldati ne ha coinvolti 300mila in Siberia orientale), l’esercitazione Trident Juncture pare la risposta della Nato alle manovre del Cremlino. Eppure, come ricordano gli esperti, operazioni di questo tipo richiedono mesi, se non anni, di preparazione. L’Alleanza Atlantica programma con largo anticipo le proprie esercitazioni, seguendo un calendario che difficilmente subisce modifiche. Nonostante ciò, desta interesse il trend. Tanto la Russia, quanto la Nato, hanno messo in piedi a distanza di poco tempo le maggiori esercitazioni degli ultimi vent’anni. La Nato sta ripetendo con insistenza che Trident Juncture “non è diretta contro uno specifico Paese”, ma il fatto che si tenga in Norvegia è già di per sé indice di una chiara preoccupazione verso la minaccia che arriva da est. Lo stesso segretario generale Jens Stoltenberg, visitando la USS Truman in preparazione per l’esercitazione, ha detto che quest’ultima manderà “un chiaro messaggio di solidarietà tra gli alleati”. Se c’è un messaggio, c’è anche un destinatario. E tutti gli indizi sembrano indicare che si trovi al Cremlino.

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