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Nobel per la Pace, perché la violenza delle guerre non ci riporti nel passato

Di Paola Severini

Un premio Nobel meritato (anche stavolta c’erano candidati stupefacenti, Trump per esempio, come spesso accade per il Nobel per la Pace) quello assegnato ai due eroi dei diritti umani. Il medico congolese che “ripara” le donne stuprate e l’ex schiava yazida, oggi finalmente padrona di se e attivista dei diritti umani. Un Nobel per non dimenticare il passato è per combattere gli orrendi soprusi del presente.

Anche il movimento me too che oggi compie un anno ha contribuito a mettere in luce come le donne ancora debbano far valere la loro identità e indipendenza, nei tanti Sud del mondo, ma pure nella civile Italia dove i femminicidi non accennano a diminuire. Come coordinatrice dei “Dialoghi a Spoleto”che si sono svolti durante il Festival dei Due Mondi all’inizio della scorsa estate, sono fiera, siamo fiere(tutta la nostra squadra al femminile), di aver identificato e anticipato il terribile e purtroppo ancora attuale tema dello stupro come arma di guerra.

Abbiamo ospitato insieme con la coordinatrice mondiale di Talitakum, suor Gabriella Bottani, Stephanie Okereke, la star cinematografica dell’Africa che vuole raccontare le violenze subite dalle sue connazionali nigeriane (violentate e schiavizzate in tutta europa) e la straordinaria Comandante Curda Nessrin Abdalla, che ha liberato a Kobanê più di mille yazide rapite e torturate dall’Isis.

Ognuna delle nostre relatrici meritava il Nobel! Noi italiane conosciamo bene quanto dolore è stato provocato dai “goumier”, le belve marocchine al servizio dell’esercito francese di “liberazione dalla violenza nazi-fascista”. Uso le virgolette perché lo stupro di guerra, anzi il “diritto di preda”come il generale Jean concesse alle sue truppe irregolari di marocchini analfabeti, è un po’ orrido patrimonio di tutti gli eserciti. Senza dubbio queste popolazioni in particolare modo (come i marocchini di allora) non conoscono e non accettano le regole che servono a controllare gli eserciti regolari.

Non è un caso che a differenza delle stragi a danno dei civili italiani perpetrate dall’esercito di Hitler, i cui processi si sono potuti – anche con un ritardo di mezzo secolo – celebrare, questi omicidi (parlo delle “marocchinate” in Italia) non avranno probabilmente mai più una risposta giudiziaria ma l’unica condanna sarà quella della storia.

Ben venga dunque il premio meritatissimo al medico e alla coraggiosa Yazida, perché ci aiuta a non dimenticare il passato prossimo e il presente: oggi esistono ancora popoli e “culture”(sic) che fanno dello stupro e della sottomissione della donna un vanto e che ritengono questi mostruosi comportamenti al pari di strumenti di guerra. Lo ricorderemo in Senato, il prossimo 25 ottobre quando celebreremo l’ultimo appuntamento di questa edizione 2018 dei Dialoghi su cultura e promozione della Donna.

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