Mentre volano gli stracci all’Eliseo e dintorni, come la stampa francese ampiamente rende noto da qualche giorno, il presidente Emmanuel Macron, la cui resistibilissima ascesa è sotto gli occhi di tutti, ha varato la nuova squadra di governo procedendo ad un rimpasto molto socialista è molto poco macroniano. Forse per arrestare la caduta di consensi, forse per dare un segnale di vigore ad potere che si sta consumando tra scandali, pettegolezzi, inquietudini e sfiducia popolare.
Ecco i nuovi ministri. Christophe Castaner, 52 anni, al ministero degli Interni. Al ministero per le collettività territoriali Jacqueline Gourault, che sostituisce Jacques Mezard. Franxoise Nyssen lascia il ministero della Cultura, sostituito da Franck Riester. Stéphane Travert lascia invece il portafoglio dell’Agricoltura a Didier Guillaume, poi Marc Fesneau, nuovo ministro incaricato dei Rapporti con il Parlamento.
Dai nomi si evince che mentre ha voluto affermare, com’era naturale, la prevalenza di En Marche! con la nomina Christopher Castaner uno dei primi ad aderire al movimento, Macron ha mostrato di volersi legare, o riallacciare i legami, alla formazione politica di provenienza, vale a dire il Partito socialista, posto che il nuovo ministro dell’Interno, succeduto a Collomb ne era un autorevole esponente. Mentre, sempre all’insegna del “nuovo che avanza”, il presidente ha pescato tra i gollisti di Les Républicains il responsabile del cruciale dicastero della Cultura, già stretto collaboratore di Sarkozy: alla faccia del rinnovamento. Ma all’Agricoltura, non ha trovato niente di meglio che un altro socialista, per di più legato a filo doppio all’ex-primo ministro Manuel Valls. E sempre un altro ex-socialista fa il suo ingresso nella compagine guidata da Edouard Philippe, il giovanissimo Attal. Qualche contentino al partitino di Bayrou (Centrodestra post-gollista e post un po’ tutto) l’ha pure dato in nome di una pluralità di voci che possano cantare in coro con lui e limitare la sua disfatta.
Insomma, il rimpasto è una sorta di negazione del rinnovamento inaugurato un anno e mezzo e fa, clamorosamente interrotto dalla discesa nei consensi dei francesi e reso evidente con le tre dimissioni eccellenti delle scorse settimane. Ricordiamo che per superare la crisi innescata dell’ex-ministro della Transizione ecologica Nicolas Hulot, il presidente ha dovuto superare i rifiuti di eccellenti amici come Daniel Chon-Bendit e di altri esponenti ambientalisti, provenienti dal mondo dei verdi che non hanno ritenuto di esporsi in un simile frangente. Ripiegando sul semisconosciuto François de Rugy Macron ha dato i ulteriore segno di debolezza. Lo stesso neo-ministro degli interni Castaner non è una stella che possa brillare al confronto con Collomb accolto nella sua Lione come un eroe per ioli grande gesto compiuto.
La “marche” si è dunque arrestata? Sembra proprio di sì. Intanto tra le mura dellEliseo, come scrive il quotidiano Le Parisienne, sembra che tra il padrone di casa e la premiere dame l’idillio sia stato messo a dura prova da questioni intime e da valutazioni politiche. Pettegolezzi? Ma certamente, autorizzati, tra l’altro, dalla scoperta della frequentazione della coppia presidenziale, e soprattutto di Brigitte, resa nota nei giorni scorsi, della regina del gossip parigino Mimì Marchand, guida indiscussa di “Best Immage”, la più grande agenzia di paparazzi francese, condannata per assegni a vuoto, padrona di locali notturni e già moglie di un noto rapinatore. Non proprio quella che si dice un’esemplare “dama di compagnia” per la coppia repubblicana più monarchica della Quinta Repubblica.
Ce ne sarebbe di che ridere di questi tempi a Parigi se le lacrime di scoramento, e perfino di preoccupazione sociale, non si confondessero con le acque della Senna, un po’ più torbide, all’apparenza, in questi splendidi giorni di sole autunnale che accompagnano gli abituali flaneur immersi in una confusa fanno compassione lanciando sguardi non proprio benevoli verso quanto accade all’Eliseo. La fine di Macron è segnata, si dice. Il nuovo governo lo certifica. Ma in Francia, come insegna la storia, niente è scontato anche perché i competitori del presidente sono ancor più deboli di lui.