Skip to main content

Pompeo minaccia i russi per gli S-300 alla Siria, e annuncia l’uscita dal trattato di amicizia Usa-Iran

Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha tenuto una conferenza stampa da Foggy Bottom, sede del dipartimento che dirige, in cui con tono deciso e pacato ha spiegato che gli americani usciranno, per decisione unilaterale, dal trattato di amicizia con l’Iran del 1955: “Una decisione che arriva francamente con 39 anni di ritardo” ha detto Pompeo, riferendosi al 1979, anno della rivoluzione che ha trasformato il regno alleato statunitense in una Repubblica teocratica islamica che odia il “Grande Satana” americano.

L’annuncio arriva oggi per una precisa contingenza: poche ore fa, la Corte di Giustizia internazionale (Icj) ha emesso una sentenza in cui dà ragione all’Iran, che aveva denunciato a luglio l’illegalità delle sanzioni re-introdotte dagli Stati Uniti contro Teheran dopo l’uscita dall’accordo sul nucleare. E la motivazione della decisione dei giudici dell’Aja era proprio da ricercare nella violazione di alcuni articoli di quel trattato (che riguardano aspetti di carattere umanitario e civile), come dimostrato dagli avvocati ingaggiati dagli iraniani in un’udienza ad agosto.

La decisione americana arriva dunque formalmente “alla luce di come l’Iran ha utilizzato l’Icj per attaccare gli Stati Uniti”, come ha spiegato Pompeo, ma è stato lo stesso segretario a chiarire che la questione è più ampia. I nostri diplomatici sono in pericolo e stanno lasciando Bassora (e a Baghdad, ha aggiunto) per colpa degli iraniani, ha detto; il dipartimento di Stato nei giorni scorsi ha emesso un avviso di rientro dal consolato nella città del sud iracheno perché minacciato da alcune milizie sciite controllate dall’Iran. “Abbiamo ottime informazioni di intelligence”, ha detto, è stato il governo iraniano a muovere le sue forze proxy; sono quei gruppi paramilitari politici sciiti che sono sul suolo iracheno e che hanno contribuito a difendere il Paese dall’avanzata del Califfato.

Questi gruppi, che sono presenti anche in Siria dove hanno avuto come funzione il supporto al regime, sono ideologici e settari, prendono ordini (e finanziamenti) dall’Iran, e Teheran ha usato la situazione di emergenza anti-Isis anche come mossa geopolitica. Movimentarli, attraverso il sostegno fisico ed economico, permette agli iraniani di diffondere la propria influenza all’interno di quei Paesi: è un programma regionale che parte dal Libano, sperimentato già attraverso Hezbollah (uno stato nello stato), e arriva fino all’Afghanistan, passando per Iraq, Siria e poi Yemen.

È un piano detestato dalle altre potenze regionali alleate degli americani (come i sauditi e gli israeliani) e uno dei motivi per cui gli americani hanno deciso di uscire dall’accordo sul nucleare – manca “lo spirito” dicevano i funzionari di Washington, perché anche se rispetti i punti del programma (cosa che comunque viene messa in discussione, con accuse su programmi clandestini portati avanti da Teheran), l’Iran continua la sua opera di diffusione velenosa attraverso interferenze e occupazioni discrete dei tessuti sociali in varie parti della regione mediorientale.

Sempre durante la conferenza stampa e continuando a parlare della presenza iraniana in Siria – sul cui contenimento gli Stati Uniti stanno ricalibrando la missione partita per combattere il Califfo e arrivata quasi al capolinea su quel fronte – Pompeo ha affrontato l’invio dei sistemi anti-aerei S-300 russi al governo di Damasco.

Negli ultimi giorni, chi osserva i cieli da fonti aperte, ha notato che tre Antonov An-124 sono atterrati in Siria, partiti dalla Russia: i tre cargo stavano probabilmente trasportato componenti delle batterie terra-aria di cui i russi hanno deciso di rifornire la contraerea siriana dopo l’abbattimento dell’Il-20 durante un raid israeliano – raid diretto, come altre dozzine, contro i passaggi di armi iraniane ai gruppi sciiti, in particolare Hezbollah (Gerusalemme blocca la minaccia prima che diventi reale, perché teme che quelle armi prima o poi vengano usata dai libanesi contro lo stato ebraico).

Pompeo ha detto che la faccenda degli S-300 “è molto seria”, si “rischia un’escalation”, e l’attento equilibrio sulla presenza aerea in Siria potrebbe essere compromesso in modo incontrollabile (sui cieli siriani c’è molta tensione, dovuta al traffico dei russi, degli americani anti-Isi e degli israeliani, che seguono quell’agenda personale a garanzia della propria sicurezza). L’amministrazione Trump, ha avvertito Pompeo, sta valutando che conseguenze può comportare la vendita di questo genere di armamenti al rais siriano; che tradotto dal linguaggio diplomatico, significa che Washington alzerà con molto probabilità nuove sanzioni contro Mosca.



×

Iscriviti alla newsletter