Il ministro dell’Interno italiano e vicepremier, Matteo Salvini, è in Qatar per incontri di rango diplomatico (col suo omologo e con il primo ministro, nonché con l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani) e per partecipare alla 12ma Fiera internazionale sulla sicurezza organizzata al Doha Exhibition Convention Centre, dove incontrerà i rappresentanti delle aziende italiane presenti all’esibizione.
L’agenda è incentrata sulla cooperazione in tema di sicurezza e di economia e sul sostegno alle imprese italiane che operano nella regione, e il viaggio del leader della Lega precede la visita ufficiale dell’emiro del Qatar in Italia prevista dal 27 al 28 novembre. La relazione economica tra Roma e Doha è cresciuta dell’8,7 per cento nell’ultimo anno, e dal 2016 si è rafforzata in ambito strategico col contratto da 5 miliardi di euro per la fornitura, nell’arco di cinque anni, di sette unità navali prodotte in Italia alla Marina militare qatarina.
Il Qatar è un paese che sta vivendo una condizione di isolamento regionale, dovuta a una decisione contro Doha, accusata a giugno del 2017 da alcune nazioni – guidate da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – di essere uno stato paria che finanzia il terrorismo islamico. Posizione apertamente sposata da pochi in Occidente, per via delle penetrazioni del Qatar all’interno del tessuto economico di diversi paesi europei: tra chi si era lanciato contro Doha, proprio Salvini, ai tempi ancora forza di opposizione.
“Finalmente se ne accorge anche l’Arabia Saudita che il Qatar finanzia e fomenta il terrorismo. Bene, ma non basta”, commentava l’attuale vicepremier mentre chiedeva di “istituire immediatamente blocchi e controlli anche in Italia e in Europa sugli ingressi, i fondi e gli investimenti provenienti dal Qatar” (“Tutte le presenze islamiche organizzate, le pseudo associazioni e comunque tutte quelle che hanno ricevuto finanziamenti dal Qatar siano chiuse e sigillate”). In quei giorni, una posizione simile era stata assunta anche dall’allora Front National francese: il vicepresidente del partito Florian Philippot in una nota diceva che “è tempo di porre fine alla benevolenza francese verso il Qatar, questo Paese è pericoloso e deve essere trattato come tale nella lotta al terrorismo islamico”.
Le cose nella Lega sono cambiate con la fase di governo, evidentemente. In quest’ottica la visita di Salvini, che ha come scenario il dialogo e contatto con il Qatar che Roma non ha mai mollato formalmente, si allinea in un contesto internazionale più potente.
Da oltre un anno, i collegamenti fisici con l’emirato sono stati tagliati dagli altri paesi del Golfo, nel tentavo di mettere spalle al muro i qatarini: dietro c’è pure la grande divisione del mondo sunnita, con l’emirato che è vicinissimo alla Fratellanza musulmana (un’organizzazione internazionale islamista), ma i Fratelli sono considerati un’entità terroristica dai salafiti in Arabia Saudita ed Emirati Arabi, anche perché rappresentano per certi versi una delegittimazione del potere del regno di Riad.
Meno formalmente (il terrorismo ha un richiamo più globale e mediatico, e meno ambiguo), da parte di Riad e Abu Dhabi c’è anche un tentativo di punizione e riallineamento del Qatar, colpevole secondo sauditi ed emiratini di tenere un atteggiamento disinvolto nei riguardi dell’Iran. L’emirato condivide con la Repubblica islamica il più grosso giacimento di gas naturale del mondo, il South Pars, e per questo deve necessariamente avere rapporti non tesi con Teheran. Ma questa sua relazione necessaria e pragmatica è finita nel conto dello scontro regionale che ha messo Riad e Doha – e alleati territoriali ed extra – contro gli iraniani. Divisioni che hanno carattere ideologico, sunniti contro sciiti, ma anche molto politico e geopolitico: si lotta per il dominio del Medio Oriente.
All’interno di questo scontro che ha portato il Qatar a trovarsi isolato, rientrano anche dinamiche e attori extraregionali. Per primi gli americani: Washington ha tutto l’interesse a seguire i suoi alleati nel confronto contro l’Iran, considerato un nemico dagli Stati Uniti, ma ha contemporaneamente cercato di tenere aperte le relazioni con Doha perché l’hub del CentCom – il comando del Pentagono che copre le operazioni nell’area geografica che va dall’Egitto all’Afghanistan – si trova in territorio qatarino (nella base di Al Ubeid). Allo stesso tempo, anche la Turchia è della partita, perché le posizioni politiche del partito di governo sono molto vicine a quelle della Fratellanza, e questo allineamento si ripercuote sulle relazioni internazionali Ankara-Doha (e tra l’altro, pur con le dovute distanza, la Turchia è un altro dei paesi del mondo sunnita che ha contatti aperti con l’Iran, per via della Siria e perché condivide un confine e relazioni economico-commerciali).
I turchi hanno subito offerto la linea vita al Qatar contro l’isolamento a giugno dell’anno scorso, e nella fase attuale potrebbero avere un’ottima leva da spendere per la riqualificazione di Doha: il caso Khashoggi. Le intelligence turche dicono di aver in mano prove schiaccianti su come siano andate le cose nel consolato saudita di Istanbul, dove il giornalista del Washington Post è stato ammazzato il 2 ottobre da una squadraccia dei servizi segreti inviata da Riad. Dicono di essere a conoscenza di possibili coinvolgimenti tra le alte sfere a corte, forse del potentissimo erede al trono, ed è possibile che chiedano in via discreta e riservata un conto all’Arabia Saudita. Nella lista, un allentamento sul Qatar.
Qualche giorno fa, il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, parlando in occasione di un’importante conferenza economia internazionale a Riad è sembrato meno agguerrito del solito nei confronti di Doha, ed è di per sé una notizia. Domenica scorsa il capo del Pentagono, intervenendo a un’altra conferenza in Bahrein ha chiesto al regno di trovare una soluzione e di ricompattare il Golfo, perché certe spaccature possono essere una debolezza in cui l’Iran si può inserire. Da mesi questi tentativi di riavvicinamento sono in atto, attraverso un lavorio discreto che fa uscire segnali indiretti.