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Il senso strategico delle esercitazioni Vostok 2018. L’analisi di Valori

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Le esercitazioni russe, cinesi, mongole denominate Vostok 2018 sono state particolarmente importanti, sia dal punto di vista militare e tattico che per il loro significato geopolitico. Vostok 2018, il termine russo significa generalmente “Est”, è una operazione che sancisce la nuova unità strategica tra Russia e Cina e manda quindi un chiarissimo significato all’Occidente.

Che sarebbe bene che l’Alleanza Atlantica non trascurasse. Ovvero, se la Nato vorrà attaccarli o, comunque, inserirsi nelle zone di interesse primario russo-cinese dello Hearthland, la risposta del nesso slavo-sinico sarà durissima, tanto da far alzare fino all’intollerabile la soglia di un eventuale attacco occidentale, e quindi della sua inevitabile risposta da “Est”, fino alla insopportabilità tecnica, finanziaria, politica per il solo attaccante.

La Russia vuole certamente dimostrare, con questa operazione davvero impressionante, anche se i numeri delle forze in campo sono ancora non del tutto definiti ex post, che gli Stati Uniti non possono attaccare senza risposte gravi e forse tali da bloccare gli stessi Usa la Federazione Russa; visto che, in questo caso, ci sarebbe un immediato ricongiungimento con le forze cinesi e, cosa non trascurabile, con le Forze Armate mongole e forse anche altre dell’area asiatica centrale.

La Turchia accetterebbe, in questo caso, una azione della Nato contro l’asse russo-cinese? Poco probabile. E la Romania? Intanto, le dottrine Usa elaborate dagli attuali Comandi ipotizzano una guerra simultanea contro la Federazione Russa e la Cina, con un dispiegamento di vaste forze terrestri e marittime contro Mosca; e di forze soprattutto aeree contro la Repubblica Popolare Cinese.

Le guerre su due fronti, però, non hanno mai portato fortuna a nessuno, e certo il dispiegamento delle forze di Vostok 2018 manda un chiaro messaggio all’America di Donald Trump, dove peraltro la Cina si sta già vendicando della guerra economica contro di essa da parte degli Usa di Trump. In particolare, la vendetta cinese si attua tramite un fortissimo impegno segreto e mediatico insieme contro il presidente nelle prossime elezioni di Midterm; mentre la Cina si sta muovendo bene nel quadrante siriano, certo in accordo, anche qui, con la Federazione Russa.

La Vostok 2018 è stata soprattutto una operazione interforze, che è durata dall’11 al 17 settembre coinvolgendo i distretti militari russi centrale (Volga e Urali) e orientale (Siberia) e almeno 29 regioni dell’intera Federazione, poi le flotte settentrionale e del Pacifico, sempre della Federazione Russa, infine le Forze Aerospaziali e quelle degli Aeromobili.

Nella prima tappa di Vostok 2018, che è durata due giorni, i Comandi Operativi Strategici Interforze dei distretti orientale e centrale e la Flotta del Nord si sono dispiegati su tutto il teatro di operazioni Orientale, per la preparazione al combattimento, oltre al pieno dispiegamento della Marina Militare russa tra il Nord e l’Estremo Oriente.

La seconda tappa, durata tre giorni, è stata dedicata alla organizzazione dei gruppi interforze per preparare le truppe alla escalation degli scontri e dei combattimenti su tutto il teatro delle operazioni già definito. Vi è stato un uso sistematico dei numerosi poligoni del Distretto Orientale, con azioni difensive e controffensive in particolare nella direzione transbalkalica, oltre a simili operazioni marittime nel Pacifico.

A sostegno, qui, di penetrazioni profonde a terra delle fanterie di marina e delle brigate specializzate di terra, con una forte protezione dall’aria, un vero e proprio air denial. Sono stati utilizzati sei poligoni solo per la gestione delle operazioni militari a terra, quattro poligoni delle Forze Aeree e della Difesa Antiaerea, con azioni anche nel Mar del Giappone, in quello di Bering, nel Mare di Okhotsk, poi nel Golfo Avacinsky e in quello Kronotsky.

Sia il primo che il secondo si trovano nella penisola della Kamchatka. Tra russi, cinesi (che hanno partecipato, anche da semplici osservatori, a tutte le operazioni) e mongoli, che si sono specializzati nelle azioni di terra e nel contrattacco, hanno partecipato a Vostok 2018 circa 297.000 militari, 1000 tra aerei e elicotteri, 7000 mezzi di terra, inclusi 110 carri armati, 36.000 pezzi di artiglieria, oltre 80 navi. Numeri che, rilevati dopo le operazioni, sono ben maggiori di quanto ufficialmente previsto, all’inizio, dal ministero della Difesa russo.

È bene qui ricordare che la precedente esercitazione, rivolta invece ad Ovest, Zapad 2017, (Zapad vuol dire, appunto, Ovest) coinvolgeva “solo” 12.700 militari tra russi e bielorussi. I cinesi avevano, nell’ambito di tutta l’esercitazione di quest’anno, circa 3500 militari, 1100 mezzi, 30 elicotteri di vario tipo e 24 elicotteri. Una brigata russa addetta alle comunicazioni, di stanza a Samara e fornita di 1000 militari, è stata, per esempio, trasferita nella zona del Trans-Baikal, 5500 chilometri da Samara. 200 elementi, sempre delle sole forze russe, sono stati spostati da Orenburg per altri 5000 chilometri verso Est.

È l’applicazione, in manovra, delle nuove dottrine militari russe del Mto (Material-Technical Support e Combat Service Support) teorie datate 2010 ma messe in atto, e in grandi dimensioni e distanze, solo con questa operazione. Se, poi, le varie manovre congiunte della Cina e della Federazione Russa nell’ambito Sco (Shangai Cooperation Organization) riguardano soprattutto operazioni antiguerriglia, antiterrorismo e, comunque, minacce asimmetriche e non-convenzionali, questa Zapad 2018 riguarda unicamente azioni convenzionali e quindi di guerra tra Stati. Peraltro, Russia e Cina avevano, fin dall’anno scorso, compiuto esercitazioni missilistiche congiunte. Ma perché la Federazione Russa pensa soprattutto, oggi, al suo fianco Est? Qui serve la storia, come sempre quando si parla di questioni strategiche. La Russia è sempre stata debole, spesso troppo debole, ad Est.

La guerra russo-giapponese del 1904-1905 ha messo, fin da allora, tutto l’Est siberiano e mongolico fuori dal quadro russo, spingendo quel Paese verso un disinteressato Occidente, dove peraltro gravitava già la maggioranza della sua popolazione.

L’attuale dirigenza di Mosca sa benissimo quanto la Russia sia stata, nelle carte riservate di Londra, ritenuta un “territorio adatto a esperimenti socialisti” già nei primi anni del XX secolo; e lo stesso socialismo bolscevico è stato, per molti versi, un adattamento gran parte sfavorevole alle economie e ai sistemi economici dell’Ovest e, in seguito, degli Usa.

Quando l’URSS spendeva tutto il possibile nella parità strategica della guerra fredda, Mao Zedong, ormai certo di avere a che fare con i soliti “nemici del Nord”, i russi, affermava invece che la cold war era “una tigre di carta”. Ma ora gli equilibri globali sono cambiati, e, sempre per parafrasare Mao, vi saranno cento guerre fredde, cento paci diverse.

Durante la rivoluzione bolscevica, peraltro, giapponesi, britannici, italiani, americani, canadesi e cinesi avevano occupato tutta la Siberia e, quindi, premevano l’Armata Rossa di Trotzky verso i suoi confini occidentali, mettendola in grave difficoltà strategica. E alla probabilità, altissima, di un colpo alle spalle da parte dei Paesi europei. La sconfitta della Cina da parte della Russia bolscevica, nel 1929, fu poi all’origine dell’arrivo dei giapponesi nella Manciuria, divenuta così Manchu-kuo, primo asse di penetrazione del Sol Levante nel centro dell’Asia.

Ed è in questo contesto che nasce anche l’ambiguità, tra bolscevichi e cinesi, dello Xingkiang, futura area di sviluppo dell’islamismo e del jihad in Cina. Un asse capace, il vecchio Manchu-kuo, di destabilizzare completamente l’assetto cinese, ieri come oggi. E di bloccare l’espansione economica e politica della Russia in Siberia e in Mongolia. Molti dirigenti di Pechino leggono, infatti, la repubblica di Taiwan come un “nuovo Giappone imperiale”.

Quindi, in una fase di forte tensione con la Nato e di sostanziale fine degli equilibri post-guerra fredda tra Washington e Mosca, la Russia securizza in primo luogo il suo Est, per evitare una “mossa del cavallo” occidentale che potrebbe portare ad una regionalizzazione della Federazione e a una sua riduzione a potenza di medio livello, il sogno degli Usa fin dalla caduta dell’Urss.

D’altra parte, la Cina ha bisogno di controllare bene il suo spazio centrale terrestre, per rendere sicura la Belt and Road Initiative e evitare le tante mosse di accerchiamento che gli Usa hanno tentato finora, tra l’India, il Pakistan e lo stesso Iran, che Washington tende, spesso ingenuamente, a destabilizzare anche dall’interno.

E non bisogna dimenticare nemmeno le materie prime: in Siberia, per esempio, vi è, già operativa, la pipeline di 2750 chilometri che porta il petrolio russo-siberiano verso la Cina, segno tangibile dell’autonomia russa dalle vendite di idrocarburi all’Occidente. La Siberia, secondo i calcoli di Mosca, possiede l’80% delle riserve petrolifere russe. La Cina poi importa, ancora oggi, molti minerali dal Brasile o dall’Africa, ma la Siberia è ricca in oro, ferro, manganese, rame, pirite, alluminio, pietre preziose, mercurio. Difendere l’asse asiatico della Russia e della stessa Cina significa quindi mettere in sicurezza il futuro sviluppo autonomo dello Hearthland.

Sul piano operativo, questa Zapad 2018 serviva, ai russi, a verificare la preparazione tecnologica delle forze, a testare il comando-controllo interforze (il C2), assicurare e verificare il forte coordinamento tra Forze di Terra, Marina Militare, Forze Aerospaziali. Peraltro, in questa grande esercitazione hanno avuto un ruolo importante anche gli Uav, gli Unmanned Aerial Vehicles e le più evolute tecnologie robotiche applicate alla Difesa. La Cina ha partecipato a quest’ultima manovra congiunta per alcuni importanti motivi: il primo, è che Pechino vuole dare il messaggio, all’Occidente, che è alleata della Federazione Russa; e non per motivi contingenti. E che non ha bisogno dell’Ovest per programmare la sua difesa verso Taiwan e il Pacifico, aree di riferimento militare degli Usa ad Est.

Peraltro, Pechino e la Mongolia avevano come obiettivo stabilito, durante tutto il periodo delle manovre, di bloccare l’avanzata di un nemico convenzionale. L’alleanza forte e stabile della Cina e della Russia, che Pechino ha voluto sottolineare, è un segno evidente del forte allontanamento, durante la Presidenza Trump, tra Usa e Cina. Poi, Pechino vuole dimostrare alla Russia (e a chi osserva le mosse politiche e militari dei due paesi asiatici e euro-asiatici) che le sue Forze Armate sono efficienti, tanto valide da poter consentire a Mosca una sua proiezione verso Ovest senza permettere accerchiamenti o penetrazioni dalla Cina verso il centro dell’Asia e fino agli Urali.

Pechino, poi, vuole conoscere bene, per utilizzarle, le tecniche di “guerra ibrida” che la Federazione ha usato, e usa ancora, in Siria e Ucraina. È inoltre molto probabile che la Cina abbia mandato, ovviamente senza segnalarla agli alleati, una sua nave-spia tra il Pacifico e l’Artico. E ancora, la Cina vuole verificare quanto e come le recenti ristrutturazioni delle sue Forze Armate abbiano inficiato o meno l’attitudine al combattimento e l’efficienza del suo sistema difensivo. Questo certo in relazione all’India, prossimo concorrente per l’egemonia in Afghanistan e nell’Asia Centrale; e anche al Giappone, che potrebbe essere dissuaso, così, dal creare una special relationship con Taiwan in funzione anticinese.

Infine, pur avendo un ruolo marginale ma importante nel quadrante siriano, la Cina vuole imparare anch’essa le lessons learned delle Forze Russe in quel quadrante, che sarà sempre più importante per Pechino, sia per le sue azioni antiterrorismo nello Xingkiang, sia per il controllo delle linee di espansione turca in Asia Centrale e, non dimentichiamo, per prevenire infine una caduta dell’Iran, alleato indispensabile per Pechino sia dal punto di vista economico che geopolitico.

Rotto l’arco di difesa di Teheran, le forze Usa avrebbero mano libera fino ai confini della Cina e nella regolazione del jihad della spada nella Russia meridionale e centrale. Non bisogna nemmeno dimenticare che, poco prima delle esercitazioni di Vostok 2018, vi erano state anche le operazioni della Sco denominate “Peace Mission 2018” e incentrate, insieme alle Forze indiane e pakistane e altre dello Sco, soprattutto nel quadrante di Celiabinsk. L’India è stata fortemente voluta nello Sco dalla Russia, alleato storico di Nuova Delhi, e il Pakistan è da sempre il miglior alleato della Cina nel mondo islamico asiatico.

Significativo, poi, questo parallelismo tra le due operazioni militari congiunte, segno evidente che la Russia vuole utilizzare sempre più la Shangai Cooperation Organization come valido asset contro il proprio terrorismo jihadista, tra Cecenia e aree del califfato, dato che l’Isis ha organizzato, come afferma la sua agenzia di notizie Amaq, ben sette attacchi terroristici in Russia nel 2018. Tra Stavropol e Nizhny Novgorod sono stati uccisi cinque poliziotti russi, sempre dal jihad della spada, poi ancora altri militari di Mosca con delle operazioni terroristiche in Dagestan.

Il FSB avrebbe prevenuto ben sei attacchi jihadisti nei primi mesi di quest’anno, arrestando 189 persone per sospetta partecipazione in azioni armate illegali. Cellule dell’Isis opererebbero anche a Rostov, poi nell’area autonoma di Yamalo-Nenets, e anche a Yaroslav, oltre che nel già citato Dagestan e in Ingushezia. Nelle precedenti edizioni di Vostok, nel 2010 e nel 2014; e ricordiamo qui che invece le esercitazioni denominate Zapad sono state altre due, nel 1981 e le 2017, la Cina non era mai stata invitata; e la sostanza delle operazioni riguardava una generica (anche cinese?) invasione nemica da Est o la presenza contemporanea di diversi gruppi terroristici ai confini orientali della Federazione Russa.

I russi hanno quindi, invitando l’Armata di Liberazione Popolare della Cina, sperimentato la preparazione al combattimento e l’evoluzione dottrinale e tecnologica di una Forza Armata che non ha combattuto mai da decine di anni. L’alleanza tra Mosca e Pechino sarà comunque stabile e duratura: mentre le Forze Armate dei due Paesi si esercitavano in Vostok 2018, Putin e Xi Jinping si incontravano ai margini del Forum Economico Orientale in corso a Vladivostok.

Il messaggio russo-cinese alla Nato è quindi chiaro: la Russia non è oggi affatto isolata, può svolgere operazioni efficaci sui due fronti, l’orientale e l’occidentale, con assoluta efficacia e rapidità e, inoltre, Mosca vuol dimostrate che le sue alleanze militari sono forti e in espansione. Mentre la NATO, con molta probabilità, non può svolgere oggi operazioni della dimensione di Vostok 2018 e, forse, non ha tutto quel “collante” politico che invece Cina, Russia e Mongolia hanno dimostrato di avere in questa esercitazione.

Alla quale era stata invitata anche la Turchia, che ha silenziosamente declinato l’invito. Risultati della Vostok 2018? Secondo i comandi russi, una innovazione vi è stata nel successo delle nuove tecniche di assalto dal cielo con operazioni finali a terra, con un’azione combinata di aerei pesanti e elicotteri da attacco leggeri.

Un aviolancio di massa, con 700 paracadutisti e molti mezzi terrestri e pezzi di artiglieria, è avvenuto con successo nell’area intermedia tra Est e Ovest russo. La Flotta del Nord, inoltre, ha condotto un esercizio interforze con la sua fanteria navale e la Brigata dell’Artico, raggiungendo obiettivi sul terreno fino a 270 chilometri dalla costa. Insomma, vi è stata la verifica di una forte evoluzione dottrinale, tecnologica, tattica e logistica di una grande forza armata, come quella russa.

Poi vi è anche la segnalazione, ripetuta spesso dal ministro della Difesa di Mosca Shoigu, che l’alleanza militare con la Cina è e sarà stabile; e che infine la Russia e i suoi alleati possono compiere, diversamente da altri, un credibile containment di una guerra su due fronti.


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