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Anche l’Europa ha la sua guerra di secessione. Sommella spiega perché

Stati Uniti 1861. Da una parte gli Stati Confederati, decisamente arrabbiati con quelli del Nord che volevano abolire la schiavitù, i campi di cotone e imporre il loro modello industriale. Europa, 2018. Non è cambiato molto, se non fosse che di mezzo c’è l’Oceano Atlantico. Anche l’Europa ha i suoi nordisti e i suoi sudisti. La prova è nell’ultimo libro di Roberto Sommella, giornalista e saggista esperto di Europa e conti pubblici (qui una sua recente intervista) Gli arrabbiati, la prima guerra di secessione europea (edizioni la Nuova Europa). Tutto parte da un assunto. L’Ue così come la conosciamo non è stata equa e generosa come avrebbe dovuto. O meglio, lo è stata solo con alcuni. E lo stesso vale per la sua moneta, l’euro.

Risultato? Un’Europa di serie A e una di serie B, un’Europa arrabbiata a fronte di un’Europa sazia, con la pancia piena e gratificata. E ed è facile intuire a quale categoria appartenga l’Italia della Lega e del 5 Stelle, che non a caso governano questo Paese. La premessa del volume, 140 pagine per raccontare la grande frattura del progetto europeo, è fin troppo chiara, al punto da fornire il senso dell’opera. “Se c’è un comune denominatore all’Unione di oggi è la sorda insoddisfazione, la rabbia, il senso di impotenza che molti cittadini provano di fronte agli effetti della globalizzazione. Vittima di egoismi e nazionalismi di ogni genere, l’Ue è un puzzle impazzito. Gli arrabbiati ormai sono milioni di persone e non ne possono più di Bruxelles, degli immigrati e dell’euro. È il momento di capire perché accade tutto questo, partendo da una mappatura della situazione economica, Paese per Paese, che anticipa sempre le mutazioni sociali”, scrive Sommella, già autore di Euxit, uscita di sicurezza per l’Europa.

L’origine del male è nei numeri. “Se ancora nel 2018 il 22% degli italiani vuole tornare alla lira non si tratta di matti visionari. Il nodo cruciale è semplice: l’Italia emette debito in una moneta che non controlla. E il cambio dell’euro non ha aiutato. Se alcuni beni hanno fatto registrare negli ultimi sedici anni riduzioni e altri sono rimasti stabili, molti generi di largo consumo, sempre presenti nel paniere delle famiglie, sono diventati più cari. Una pizza, un chilo di pasta, un chilo di vitello in fettine, persino il tramezzino e il pane, hanno subito aumenti vicini al 100%, tolta l’inflazione. A volare è stato anche il mattone: se i tassi sui mutui si sono dimezzati dal 2002 in poi, prezzi e affitti sono rincarati due volte tanto”, spiega Sommella, europeista convinto ma non per questo poco incline a un’analisi critica dell’Unione. Anzi.

Dunque? “Milioni di italiani, per mancati controlli nel periodo di doppia circolazione, per arrotondamenti preventivi, per assenza di sostegni alla perdita di potere d’acquisto, con la moneta unica si sono davvero impoveriti. Schiacciata tra l’austerity imposta da Bruxelles, l’avvento della tecnologia digitale e la perdita di potere d’acquisto, una bella fetta del nostro paese è così rimasta indietro rispetto al resto d’Europa a inizio millennio e poi con la crisi dal 2008 si è inabissato”.

Di più. L’Europa oggi agli occhi di molti italiani “arrabbiati” è come il Lego, va smontata un pezzo alla volta e rimontata. “A dispetto del fatto che da contributore netto abbia versato 50 miliardi di euro per banche e stati stranieri e dopo manovre per almeno 200 miliardi, in dieci anni i poveri in Italia sono raddoppiati, mentre i ricchi milionari sono cresciuti quasi del 10%, il debito pubblico è aumentato del 30% da quando fallì Lehman Brothers, il Pil è ancora indietro rispetto al 2007. Non è quindi un caso se il 70% degli italiani si dica stufo di questa Europa. Una moratoria su Maastricht è l’unica strada per evitare che sia il Belpaese a staccare la spina all’Ue”.

Ma l’Italia non è l’unica ad avercela con Bruxelles. Non è l’unica arrabbiata. Un giro per gli altri paesi europei, mostra analoghe complessità. Sommella è crudo. “Vittima di conti truccati e banche straniere che hanno ingigantito il buco, la Grecia, unico Paese a proporre una ricetta da sinistra per l’Ue, è stata stritolata. Ha salutato la Troika, ma dovrà pagare interessi su un prestito di 274 miliardi fino al 2060, dopo aver cambiato quattro governi, 450 riforme e privatizzato anche le terme. La povertà è raddoppiata, come il suo debito e rispetto al 2008 il Pil è ancora indietro del 24%. A conti fatti, forse era meglio la Grexit”.

Va bene, ma a qualcuno questa Ue andrà pure bene o no? Certo che sì. “La Germania dall’Ue e dall’euro ha invece avuto quasi tutto. Si è ripagata i costi della riunificazione grazie al fatto che l’euro discende dall’Ecu, cucito addosso al marco; ha incassato quasi 1.000 miliardi di capitali in arrivo grazie allo spread, dal deprecato Quantitative Easing ha ottenuto per la sua Bundesbank 2 miliardi di utili aggiuntivi. Mentre il suo surplus vola incontrastato ben sopra il 7% del Pil e persino dal salvataggio greco ha guadagnato 2,9 miliardi di interessi, la disoccupazione è passata in dieci anni dall’8 al 5% e il debito è stabile, poco sopra il 60%. Ciliegina: ha ottenuto da Atene di rispedirle dei migranti non voluti: un po’ troppo per rappresentare lo spirito dell’europeismo”.

Scartata la pista teutonica, ad Est si cresce, proprio grazie all’Europa. I paesi dell’ex cortina di ferro “oggi crescono il doppio grazie al fatto che hanno ricevuto più contributi comunitari dell’Ovest e offrono lavoro a basso costo. La Polonia ha più che dimezzato in un decennio la disoccupazione (al 4,2 dal 10,6%, quasi record in Ue, battuta solo dall’Ungheria che è al 3%) cresce del 9% rispetto al 2008. Anche Repubblica Ceca e Slovacchia, incuranti dell’aumento del loro debito, vanno a gonfie vele”. E l’Austria, bastione della destra sovranista in Europa? Il paese guidato dal giovane Kurz ha il fiato corto, la disoccupazione dal 2008 al 2018 è aumentata (dal 4,8 al 7,1%) come il debito (dal 60 all’80% del Pil). Sì, l’Europa ha due facce. Una che sorride e l’altra che digrigna i denti. Arrabbiata.

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