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Se gli Stati Uniti alzano il prezzo sulla competizione missilistica. L’analisi di Arpino

stati uniti

La questione dei nuovi missili da crociera russi SSC-8 (questo è il codice Nato con il quale sono noti in Occidente) viene da lontano, anche se il clamore trova ampio spazio sui media solo oggi. Già nel 2014, in occasione della crisi di Crimea l’amministrazione Obama, facendo seguito ad una minaccia di sanzioni selettive, aggiungeva la possibilità di ulteriori provvedimenti contro una presunta violazione russa, in corso di accertamento, degli accordi Intermediate-range Nuclear Force treaty (Inf Treaty). Il casus era generato dal trafilamento della notizia che era in fase finale di sperimentazione un nuovo missile da crociera, il 9M729. La Russia si difendeva negando ogni infrazione al trattato, affermando che il nuovo venuto non era affatto un intermediate, ma un long range (gittata superiore ai 5.500 Km). Come tale, era fuori dall’accordo. Nulla di fatto, come sempre in politica estera, da parte di Obama.

Dopo tre anni di silenzio da entrambe le parti, il caso riemerge nel febbraio 2017, quando il New York Times riporta che la Russia ha schierato in Europa un nuovo missile da crociera, nonostante gli Stati Uniti avessero già avvertito (nel 2014) di come la stessa sperimentazione del vettore costituisse una palese violazione del trattato Inf. La stampa russa rispondeva sarcasticamente, insinuando che i media americani avevano preso un granchio, scambiando la rotazione dei missili Iskander dell’enclave baltica di Kaliningrad (carinamente concessa dagli Alleati ai russi alla fine della Seconda guerra mondiale) per l’installazione dei nuovi cruise nucleari. Ma il Pentagono, questa volta con la voce ufficiale del vice chairman dello US Joint Chief of Staff, allarmisticamente asseriva che né gli Stati Uniti, né la Nato disponevano di un’efficace difesa contro gli SSC-8, schierati “nella Russia occidentale” nel marzo del 2017. Seguiva una dichiarazione, sempre da parte militare, che la Russia, schierando due battaglioni di SSC-8 (“ciascuno con sei lanciatori”, si precisava) aveva esplicitamente violato lo “spirito e gli intenti” del trattato Inf.

Poi silenzio assoluto da entrambe le parti fino ai giorni nostri, quando il presidente Trump, in risposta a una violazione datata 2014, minacciava il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal trattato siglato tra Reagan e Gorbaciov nel 1987. Il solerte e diligente Stoltemberg, il primo ministro norvegese ora segretario generale della Nato, ha subito rilanciato la protesta con una propria dichiarazione. Tutto potrebbe rientrare, ha lasciato intendere Donald Trump, qualora la Russia e la Cina venissero a Canossa. Ma perché anche la Cina? In questo affaire privato tra due, emerge come una sorprendente novità. Non risulta, salvo nostro errore, che la Cina abbia firmato l’Inf Treaty.

Quando osserviamo le mosse di Donald Trump, dobbiamo sempre ricordare che lui, prima di essere presidente degli Stati Uniti d’America, è un tycoon nato, cresciuto ed affermato nella grande industria e nel commercio. Quindi, è abituato a comportarsi ed a ragionare in un certo modo. Ed è difficile, tutti lo sappiamo, cambiare pelle quando si è superata una certa soglia. Questa abitudine si è trasformata nel suo modo di fare politica. Alzare sempre il prezzo, lasciando pure che la corda si tenda. Ma senza farla spezzare. Evidentemente, in vista qualche altra trattativa che a Trump sta molto a cuore. Qual è il prossimo incontro internazionale, con partecipazione di capi di Stato e di governo? Il G20 di fine novembre. Bene, teniamoci stretti, perché a Buenos Aires ne vedremo delle belle!

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