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Stato digitale? Sì, a patto che… La versione di Giulia Bongiorno

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Un approccio industriale per ridisegnare la Pa, dunque lo Stato, in chiave moderna. Non un compito facile ma tanto vale provarci. Ieri sera l’associazione Amici Marco Biagi, presieduta da Maurizio Sacconi, ha presentato alla Camera il rapporto sulla Pa, di cui Formiche.net ha dato conto nei giorni scorsi (qui l’articolo con tutte le proposte), sorta di vademecum per una Pubblica amministrazione diversa e più efficiente.

Tra gli ospiti, oltre al ministro per la Pa, Giulia Bongiorno (nella foto), anche tra gli autori sono il neo giudice della Consulta Luca Antonini, altri docenti universitari come Mariano Corso del Politecnico di Milano, Angelo Maria Petroni e Angelo Lalli de La Sapienza, l’esperto ordinamentalista Francesco Verbaro. Assente invece il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, trattenuto all’ultimo in un vertice sul Def a Palazzo Chigi.

Il vero cambiamento per la Pa è il digitale che però, secondo il ministro Bongiorno, deve essere inculcato con metodo, con una logica industriale. “La vera rivoluzione per la Pubblica amministrazione italiana sarà la digitalizzazione dell’intero sistema. Eppure una tale innovazione, che trasformerà la Pa in qualcosa di finalmente moderno, rischia di risultare inadeguata”, ha spiegato Bongiorno. Perché? “L’operazione propedeutica alla digitalizzazione sarebbe stata la semplificazione delle amministrazioni, che però non è avvenuta finora. E allora il rischio è ritrovarsi a digitalizzare un groviglio con tutti gli effetti nefasti del caso”, ha aggiunto Bongiorno.

La quale ha proseguito la sua riflessione sulla digitalizzazione della Pa. “Un processo di simile portata è destinato non solo a riscrivere i tempi della Pa ma anche le sue regole. Il problema si pone nel come farle accettare a un sistema che più volte si è dimostrato allergico al cambiamento. La rivoluzione digitale deve essere capita, compresa dal corpo dirigente e dipendente. D’altonde non possiamo imporre delle regole senza che esse non vengano capite e dunque apprezzate. Anche per questo dico che, oltre all’opera di bonifica della semplificazione, preparatoria della digitalizzazione, oggi la vera mission del governo deve essere quella di rendere ‘gradevole’ la rivoluzione digitale a chi lavora nella Pa”.

Bongiorno, davanti alla platea accorsa nella Sala del Refettorio del Palazzo di San Macuto, ha dunque sintetizzato così la sua idea di Pa digitale. “Deve essere inclusiva, cioè tutti dentro e nessuno escluso. Tutti digitali, tutti impegnati nella formazione per una nuova Pubblica amministrazione. E poi credibili, nei servizi che offre. Così immagino un sistema degno di un Paese come l’Italia”. Ancora, il titolare del dicastero per la Pa si è soffermata sul ruolo dei dirigenti. Rei, troppo spesso, di “essere dirigenti ma senza esserlo. I dirigenti devono tornare ad essere tali, ad essere presenti, a comprendere i problemi della Pa senza sottrarsi al cambiamento. Abbiamo dirigenti assenti, che non trasmettono la spinta al copro dipendente”.

Sul tema della digitalizzazione è intervenuto anche Stefano Parisi, imprenditore e fondatore di Energie per l’Italia. “Oggi abbiamo una Pa che spende fino a cinque miliardi all’anno senza crescere perché manca l’integrazione. Non è come stato detto fin qui, è una riorganizzazione profonda. Non ha senso spendere miliardi all’anno se prima non c’è una vera integrazione dei dati, tanto per citare esempi. Ai dirigenti pubblici dico questo, non fate assunzioni se prima non è stato fatto tutto questo”. Parisi ha infine attaccato duramente l’Anac, l’autorità anticorruzione. “Va abolita perché è un freno. In tutti i Paesi una simile autorità accompagna i processi amministrativi, non attende al varco dirigenti e imprenditori per fermare tutto. Il decisore va seguito, monitorato non bloccato all’ultimo come succede solo in Italia. E infatti rimaniamo fermi”.

 


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