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Le condizioni per una strategia italiana (di successo) sull’intelligenza artificiale

robot killer, Mise

L’intelligenza artificiale non è solo una delle tecnologie più promettenti dei nostri tempi, destinata a rivoluzionare ogni settore nel quale verrà applicata, ma anche uno strumento economico e strategico di competizione tra diversi Paesi e aree del mondo. Non è un caso che un leader notoriamente attento agli equilibri di potere tra nazioni, Vladimir Putin, abbia affermato che “chi svilupperà la migliore intelligenza artificiale diventerà il padrone del mondo”. Anche se proprio la Russia non sembra essere messa benissimo nella propria volontà di potenza. Secondo un recente studio di Roland Berger, tra i primi 20 Paesi al mondo per numero di start-up specializzate in intelligenza artificiale, la Russia è ventesima, con appena 19 imprese innovative di recente costituzione. Prima di sorridere su questo contrasto tra aspirazioni e realtà, giova sapere che l’Italia è appena sopra, al diciannovesimo posto con 22 start-up. Meno di un sessantesimo rispetto agli Stati Uniti, leader per ora incontrastati a livello globale. Il primo Paese europeo si colloca al quarto posto, dopo Cina e Israele. Peccato si tratti del Regno Unito, che a brevissimo non sarà più parte dell’Unione europea. Mentre Francia e Germania, rispettivamente settima e ottava nel ranking, hanno complessivamente meno start-up focalizzate sull’Ia del Regno Unito considerata da solo. Se si guarda ai brevetti la situazione non è molto diversa. Anzi, in realtà è ancora più triste perché si può osservare come, pur comprendendo ancora il Regno Unito, l’Europa, antesignana nella ricerca insieme agli Stati Uniti e dopo il Giappone, abbia perso inesorabilmente terreno e ora appaia staccata anche da Cina e perfino dalla Corea del Sud (tutti i dettagli e i numeri nel rapporto dal titolo “Italy of Things. Per cittadini e imprese connessi al futuro” realizzato dall’Istituto per la Competitività e presentato oggi a Roma).

Bene dunque ha fatto l’Ue a reagire con la Strategia presentata dalla Commissione europea ad aprile scorso e incentrata su un aumento degli investimenti che, secondo le intenzioni, dovrebbe portare l’impegno complessivo tra fondi europei e degli Stati membri, ai quali sommare quelli privati, a 20 miliardi di euro entro il 2020. Così come sono certamente apprezzabili le iniziative degli stessi Stati membri, che devono individuare una loro via e un loro contributo concreto all’interno della strategia europea.

Per il nostro Paese, che ha da poco deciso di cimentarsi con una propria strategia nazionale, la sfida non solo a livello di competitività del sistema Paese ma anche di sostenibilità dei modelli sociali si giocherà tanto sulla capacità di creare innovazione quanto su quella di applicarla nei diversi ambiti (industria, servizi, pubblica amministrazione e cittadini-consumatori). È difficile immaginare che l’Italia possa diventare leader nella produzione di hardware o software legati all’Ia, anche se in alcuni ambiti, specie B2B, è doveroso cimentarsi nella sfida internazionale. Quel che è certo è che, se il nostro Paese vuole rimanere sulla frontiera dello sviluppo economico e sociale, deve diventare quantomeno un leader nell’adozione delle tecnologie. Per farlo l’Italia deve mantenere lo sguardo sui tanti tasselli che compongono il mosaico dei fattori abilitanti l’Ia in una visione il più possibile olistica. In particolare, è prioritario affrontare 5 sfide prioritarie.

La prima è naturalmente l’adozione di tecnologie Ia o ad esse collegate da parte del sistema produttivo, sia software che hardware (come l’high performance computing), tenendo conto della dimensione media estremamente ridotta delle nostre imprese e, dunque, della necessità di creare reti e conoscenza. A proposito di sapere, qui come in altri campi, si deve fare uno sforzo specifico per aumentare le competenze digitali, attraverso l’educazione delle nuove generazioni ma anche la formazione di quelle mature e anziane. Più nello specifico vanno individuati strumenti agevolativi e fondi ad hoc per incrementare i percorsi di istruzione e formazione professionale sull’intelligenza artificiale e sui filoni correlati (es. data analysis).

Le tecnologie Ia hanno poi bisogno di adeguate infrastrutture di rete fissa e mobile, con l’accelerazione del roll-out della banda ultra-larga (con un’attenzione specifica alle imprese, molte delle quali si trovano in aree grigie) e del 5G.
Così come devono essere assicurati standard il più possibile affidabili e robusti di privacy e cybersecurity – da assicurare sostenendo un maggiore coordinamento a livello europeo – una piena implementazione delle regole a livello nazionale e anche una maggiore informazione dei cittadini e delle imprese sui potenziali pericoli derivanti dall’assenza di protocolli o strumenti di sicurezza.

Per ultima, ma certamente non per ordine di importanza, la questione etica. Occorre affermare con forza il principio antropocentrico che mette l’intelligenza artificiale sempre al servizio delle persone e non viceversa. Anche se gli impatti sul mondo del lavoro sono naturalmente inevitabili, l’adozione dell’Ia deve soprattutto servire a coadiuvare le persone, migliorandone la performance, più che a sostituirle.

Allo stesso tempo, gli strumenti messi in campo nell’ambito di una strategia nazionale devono adattarsi ai bisogni delle singole filiere produttive e alle loro caratteristiche. Ci sono ad esempio settori caratterizzati da poche aziende leader e (molti) altri da una presenza dominante di piccole e medie imprese. Alcuni hanno catene del valore solo in parte localizzate in Italia e altre totalmente domestiche. Una strategia nazionale sull’Ia non può che tenere conto di queste differenze, basandosi su casi studio settoriali e prevedendo strumenti specifici da impiegare in base a differenti caratteristiche.

Naturalmente in questo contesto non può essere dimenticata la ricerca. Sia quella pubblica – creando poli di eccellenza non solo a livello italiano ma necessariamente europeo, non disperdendo a pioggia le risorse previste da Horizon 2020 e dal successivo Programma Quadro – che quella privata, da sviluppare sempre di più in collaborazione con università ed enti di ricerca.

L’Ia è un tema sempre più attuale e importante, ma di cui, in molti casi, non si ha (ancora) la consapevolezza necessaria per poterlo calare nella propria realtà. Proprio per questo, un fattore decisivo per una Strategia Nazionale di successo sarà quello di diffondere conoscenza in materia, a cominciare dalle imprese e in particolare da quelle più piccole, spingendole innanzitutto ad approfondire il tema, a prescindere dagli strumenti di sostegno pubblico che saranno individuati. Solo grazie a questo processo di “evangelizzazione”, si potranno mettere in campo soluzioni di policy in grado di raggiungere efficacemente gli obiettivi che si propongono. Permettendo di accelerare il passo dell’Italia verso il traguardo (mobile) della modernità.


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