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Tap, Tav, Terzo Valico e via infrastrutturando

C’è una parte del Documento di Economia e Finanza Def, della Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza Nadef e del Documento Programmatico di Bilancio Dpb – i maggiori documenti di politica di finanza pubblica – e del disegno di legge di bilancio che dovrebbe raggiunger prestissimo il Parlamento (è atteso dal 20 ottobre) su cui sono tutti d’accordo: la necessità di aumentare l’investimento pubblico in infrastrutture (sceso dal 3% del Pil negli Anni Ottanta a meno dell’1% negli ultimi esercizi). Le infrastrutture creano occupazione di fattori di produzione non pienamente utilizzati nella fase di cantiere e contribuiscono alla crescita della produttiva quando sono a regime. Per il comparto trasporti, lo documenta un bello studio della Confcommercio uscito in questi giorni. Si può non essere d’accordo con la proposta di Centrale per la Progettazione che verrebbe inserita nel disegno di legge di bilancio e che ha un profumo di “socialismo reale”, ma basta girare per l’Italia per accorgersi che il nostro parco infrastrutture è fortemente inadeguato.

Il governo ha correttamente dato il via libera alla Tap. Si riaprono, però, le polemiche sulla Tav Torino–Lione e se ne intravedono all’orizzonte di nuove sul Terzo Valico.

Eloquente il caso della Tav. La letteratura accademica sulla Torino-Lione è molto vasta. Sono state pubblicate negli anni due analisi costi-benefici italiane che hanno avuto una validazione scientifica: lo studio pubblicato dallo scrivente e da Pasquale Lucio Scandizzo (frequente coautore di articoli sull’investimento pubblico con l’attuale ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria ed ora suo consigliere economico) nel volume “Valutare l’Incertezza” e un saggio di Massimo Centra pubblicato sulla rivista Rassegna Italiana di Valutazione. Il primo è stato al centro di una riunione scientifica dell’International Evaluation Association a Berlino. Il secondo di analoga riunione dell’Associazione Italiana di Valutazione a Catania. Ci sono anche analisi costi benefici di autori francesi e della Commissione europea.

Come riassunto mesi orsono sul quotidiano Avvenire, i due lavori seguono procedure leggermente diverse del filone moderno dell’analisi costi benefici con “opzioni reali”, ossia con stime quantitative degli effetti di implicazioni differenti delle scelte del decisore. Una discussione a carattere manualistico del metodo è illustrata nel libro “La Buona Spesa – Dalle opere pubbliche alla spending review” che ho pubblicato con Stefano Maiolo (componente della Segreteria Tecnica del ministro dell’Economia e delle Finanze) presso la Biblioteca del Centro Studi ImpresaLavoro e discusso in vari seminari.

Le due analisi riguardano entrambe il progetto con due tunnel, ora in avanzato stato di realizzazione. E giungono a conclusioni simili: quantizzando i costi ambientali alla valle (sia in fase di cantiere sia a regime) e tenendo conto dell’opzione di flessibilità (ossia della capacità di soddisfare inattesi picchi di domanda dovuti a choc), il tasso di rendimento interno dell’investimento si aggira sul 10%, rispetto a una media del 4%-6% per l’investimento in infrastrutture in Italia e nei maggiori Paesi Ue. In caso di differimento (e ritardi) crolla al di sotto del 3%. Ciò comporta attenta vigilanza sul cronoprogramma dei lavori.

In assenza o per i ritardi della Tav, poi, c’è una crescente diversione di traffico merci sulla costa, con conseguente aumento dell’inquinamento della Riviera – una delle ragioni che spinge la Francia ad accelerare – e di un aggravio, sempre in Riviera, di traffico di mezzi pesanti: chi ha causato i ritardi nell’attuazione della Tav ha parte della responsabilità morale del crollo del Ponte Morandi. Una nuova analisi costi benefici dovrebbe quantizzasse questi elementi. Altro aspetto non tenuto in conto nelle analisi citate (per carenza di dati) è la centralità della Tav nella logistica del trasporto di merci nel Nord Italia (ampliamento dei porti di Genova e Trieste, raddoppio del valico del Brennero). Per valutare l’intero schema sarebbe necessario uno strumento statistico aggiornato e un apposito modello econometrico. C’è comunque il rischio che, senza Tav, parte dei flussi si dirigerebbe ad Amburgo (penalizzando Genova e Trieste) e l’intero schema si indebolirebbe.

Il ministro Toninelli ha parlato di una nuova analisi: per correttezza e serietà professionale, dovrebbe sottoporla a validazione scientifica sia internazionale sia nazionale come fatto per le precedenti citate in questa nota. Potrebbe seguire la procedura del débat publique adottata in Francia. Se ne guadagnerebbe in trasparenza.

In caso di abbandono del progetto, comunque, non si tornerebbe alla situazione degli Anni Novanta: la montagna è stata scavata, nell’area del cantiere l’assetto territoriale modificato. I costi del ripristino, ove tecnicamente fattibile, sarebbero elevati. Si dovrebbe comunque rimborsare due miliardi alla Commissione europea, che, dopo questa vicenda, non vedrebbe probabilmente di buon occhio le rinnovate richieste di “golden rule” e flessibilità da parte dell’Italia per il rilancio d’investimenti pubblici in infrastrutture. È controverso se l’Italia debba o meno pagare penali alla Francia, che ha investito molto. In caso di decisione unilaterale di bloccare il progetto, è probabile che Parigi chieda un arbitrato o si rivolga a un Tribunale internazionale. Su questa complessa vicenda il ministero dell’Economia e delle Finanze ha, comunque, voce in capitolo non solo per gli oneri di bilancio che si avrebbero in caso di sospensione, ma anche in quanto le analisi costi benefici Tav citate sono state il modello a cui il dicastero si è ispirato per valutazioni di altri investimenti pubblici.

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