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Rispetto e unità. Le parole della Trenta incrinate dal post di Ilaria Cucchi

Potremo solo immaginare le parole, i chiarimenti, le emozioni, il rispetto. Potremo solo immaginare quello che si sono veramente detti Ilaria Cucchi e Giovanni Nistri, la sorella di Stefano Cucchi e il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri. L’incontro nello studio del ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, presente anche Fabio Anselmo, avvocato e compagno della signora Cucchi, è durato più di quanto si pensasse, ma contrariamente a quanto era stato preannunciato solo il ministro si è presentato dinanzi alle decine di giornalisti, fotografi e operatori in attesa. La Trenta ha spiegato le assenze con la decisione del generale Nistri di non prendere parte all’incontro con la stampa e Ilaria Cucchi ha condiviso la scelta. Forse ha ragione chi ha ipotizzato che in questo modo si sono evitate le domande dirette che, anche involontariamente, avrebbero potuto trasformare i due in parti di un “processo”. “Una scelta concordata tra tutti – ha spiegato il ministro – e di questo sono contenta perché è questo il segnale di unità che vogliamo dare”.

Eppure il vero motivo è un altro perché non tutto si è appianato. Ilaria Cucchi, che ha deciso di non parlare con i giornalisti, poco prima di mezzanotte ha scritto su Facebook quello che pensa davvero: grazie allo Stato, grazie al ministro Trenta, rispetto profondo per i Carabinieri, “ma vorrei che vi fosse uguale rispetto per il processo in corso per far luce sulla morte di mio fratello”. Una frase criptica visto che in una recente udienza c’è stata la svolta con le dichiarazioni del carabiniere Francesco Tedesco e che la magistratura dal punto di vista penale e l’Arma da quello disciplinare faranno tutto il necessario. L’ipotesi più accreditata è che la signora Cucchi si riferisca al ruolo dell’appuntato Riccardo Casamassima che nel 2015 consentì la riapertura del caso denunciando alcuni colleghi, tesi confermata in aula nel maggio scorso.

Casamassima, che era nello stesso reparto del maresciallo Roberto Mandolini (uno degli accusati), per motivi di opportunità è stato trasferito recentemente alla scuola ufficiali, fatto che ha causato due curiose reazioni: da un lato l’appuntato ha postato un video lamentandosi di pagare delle conseguenze per aver fatto il proprio dovere e appellandosi addirittura al presidente e ai vicepresidenti del Consiglio; dall’altro Ilaria Cucchi l’ha commentato parlando di “demansionamento umiliante e consistente decurtazione dello stipendio”. Detto che gli stipendi sono sempre quelli previsti dal grado che si ha, è lecito chiedersi se in una vicenda umana drammatica si possa anche interferire con decisioni organizzative? In sostanza, se per ipotesi Ilaria Cucchi voglia per Casamassima un trattamento diverso da quello previsto dalle norme solo perché a suo tempo, ma con quasi sei anni di ritardo, consentì di riaprire l’inchiesta, andrebbe oltre la logica e il diritto di chiedere la condanna dei colpevoli.

Nell’incontro con la stampa la responsabile della Difesa, visibilmente emozionata, aveva sottolineato due concetti: rispetto e unità. “Rispetto per il calvario vissuto – ha spiegato -, ma anche rispetto per i carabinieri che ogni giorno garantiscono la sicurezza dei nostri cittadini. Quando si crea sfiducia, la colpa un po’ è anche della politica. Io credo fermamente nel dialogo, credo che la politica debba unire e non dividere”. La ricostruzione dei fatti che hanno portato alla morte di Stefano Cucchi, avvenuta nell’ottobre 2009 dopo essere stato fermato dai Carabinieri, ha avuto una svolta nei giorni scorsi con le accuse rivolte da un militare ad alcuni colleghi. Una svolta definitiva che ha fatto dire in più interviste al generale Nistri che l’Arma si scusa se alcuni suoi componenti sbagliano, che chi sbaglia paga e che chi sa deve parlare. Il ministro ha ripetuto lo stesso concetto: “Chi ha sbagliato pagherà” e “dobbiamo chiedere scusa in tanti, sono molti quelli che dovevano vedere e non hanno visto”.

Le parole del ministro avevano dato l’idea di una ricomposizione definitivamente raggiunta perché nell’incontro sono emerse “la sete di giustizia, che è lo stesso principio su cui si fonda l’Arma dei Carabinieri” e la “fiducia nello Stato, cui Ilaria e la famiglia Cucchi non hanno mai rinunciato”. La stessa Ilaria nei giorni scorsi aveva precisato di non accusare l’Arma, ma singole persone, ed è comprensibile che il ministro si sia sentita “direttamente coinvolta” durante l’incontro che è stato “un momento emozionante”. L’incontro voluto dalla Trenta si presta anche a una lettura politica, marcando una distanza con la Lega e con Matteo Salvini per il quale comunque chi ha sbagliato indossando la divisa deve pagare doppio anche se le polemiche degli anni scorsi tra lui e Ilaria Cucchi rendono difficile l’incontro al Viminale.

Ai cronisti è rimasta la delusione di non aver potuto guardare negli occhi la sorella di Stefano e il comandante dei Carabinieri. Le foto li ritraggono seduti a distanza di qualche metro con il ministro tra di loro, dicono che nell’incontro si sia entrati nel dettaglio della vicenda, che il generale Nistri abbia fornito le informazioni necessarie e che al momento dei saluti non ci siano stati problemi. Poi, a mezzanotte, Facebook. Dopo nove anni di lotte, ora che la strada giusta è stata finalmente imboccata Ilaria Cucchi deve compiere un ultimo sforzo: lasciare che vengano applicate le leggi da chi sa come applicarle, la magistratura e l’Arma dei Carabinieri. Più delle dichiarazioni pubbliche servono le parole private: le scuse, il rispetto reciproco, la certezza che i colpevoli pagheranno.

 

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