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Tria e la sponda del Dragone. Ma qualche precauzione va presa

L’Italia chiama, la Cina risponde. No, lo spread e i Btp non c’entrano nulla, almeno per ora. Quello gettato questa mattina dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è un ponte importante, di quelli destinati a durare nel tempo. D’altronde il calibro dell’ospite è di quelli grossi. A Milano Tria ha incontrato il numero due della Cic, China Investment Corporation, Tu Guangshao, il più grande fondo sovrano del mondo. Una specie di BlackRock ma di natura pubblica invece che privata, dotato di una potenza di fuoco in grado di spostare con disinvoltura punti di Pil di un’economia industrializzata.

Qualche dettaglio. Nell’incontro milanese Tria e Tu si sono accordati per dar seguito ad un progetto di un fondo comune italo-cinese destinato ad aumentare gli investimenti sui reciproci mercati. Quanto al timing, entro fine anno sarà elaborata una bozza di accordo che dovrebbe essere firmata all’inizio del 2019. Ma quello di Tria non è un frutto caduto per caso dall’albero e prontamente raccolto. L’intesa raggiunta oggi è figlia del viaggio cinese di fine agosto, quando il ministro si è recato in Cina per incontrare la comunità finanziaria e i grandi investitori esteri. Ufficialmente per tessere la tela con la seconda economia mondiale, ufficiosamente per spiegare la natura del governo gialloverde e magari assicurarsi sottoscrittori di debito in caso di nuove impennate autunnali dello spread (qui l’intervista rilasciata a Formiche.net prima del viaggio di Tria da Luigi Paganetto).

La sostanza dell’accordo predisposto stamattina è però leggermente diversa. E cioè, per dirla con lo stesso Tria “mettere insieme non solo capitali ma anche le conoscenze e le analisi per promuovere la cooperazione tra i due Paesi e mettere in moto un’iniziativa comune con ricadute dirette e indirette sul reciproco dialogo”. Tria ha ricordato che “l’Italia è una porta d’Europa (domani tra le altre cose il premier Conte incontrerà a Bruxelles il primo ministro della Repubblica Popolare cinese, Li Kequiang, ndr) e questo accordo è essenziale per la conoscenza del mercato europeo”. Quella tra Italia e Cina sarà una cooperazione a largo raggio che implicherà investimenti nei settori industriali sui due mercati.

Formiche.net ha chiesto il parere di Salvatore Zecchini, economista in forza all’Ocse, professore di economia internazionale a Tor Vergata per tentare di leggere in controluce l’accordo italo-cinese. “Indubbiamente nel breve termine ci sarà un effetto positivo in termini di bilancia di pagamenti per l’Italia, in questo senso la scelta del governo italiano è positiva. Tuttavia è necessario allargare il ragionamento nel lungo termine”, spiega l’economista. Cioè? “Mi spiego. Se per investimenti nei reciproci settori industriali si intende un’ingresso nel capitale di grosse società, e di solito i cinesi puntano proprio alle grandi industrie, penso ad Eni o Enel o Fincantieri, allora bisogna capire la natura di questi investimenti. Favorire la crescita delle aziende o depredarle delle loro risorse? Nel primo caso vedrei la cosa con assoluto favore, nel secondo no. Per questo dico che non è chiara ancora la direzione degli investimenti di cui si parla nell’intesa”.

Zecchini prosegue nella sua analisi. “Credo sia essenziale che l’investitore cinese che arriva in Italia abbia ben chiaro in mente di servire il mercato italiano e quello europeo e non di estrarre tecnologia dalle aziende in cui entra. O peggio utilizzare la nostra manifattura per importare in Ue prodotti cinesi, come la componentistica. Quello che voglio dire è questo. L’accordo tra Tria e Tu può essere una straordinaria opportunità per il nostro Paese, ma anche una buccia di banana se non correttamente gestito”. In tutto questo i Btp italiani sono compresi nel menù. Al momento no, ma non è detto che non investano in futuro nel nostro debito. Per Zecchini si può fare ma a un patto. “Nessuno compra titoli pubblici senza avere delle garanzie, men che meno un fondo sovrano di queste dimensioni. Lo Stato italiano dovrebbe immaginare una sorta di garanzia pubblica in grado di mettere a riparo l’investitore cinese da potenziali perdite future in caso di tempeste finanziarie”.

 

 

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