Il sinodo del patriarcato ecumenico di Costantinopoli ha esaminato la relazione dei due esarchi inviati in Ucraina dal patriarca Bartolomeo – i vescovi di Pamfili e di Edmont – e poi ha confermato di voler procedere con la concessione dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa dell’Ucraina, oggi dipendente dal patriarcato di Mosca. A Mosca hanno reagito parlando di rottura dell’unità ecumenica della Chiesa Ortodossa.
Ci sono due Vladimir alla base di tutto ciò che riguarda l’enorme tensione che in queste ore divide il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, e il patriarca di mosca, Kirill. Il primo Vladimiro, parlando in termini storici, è quel Vladimiro il Grande che nel 988, dopo essere stato battezzato, convertì al cristianesimo la sua famiglia e il suo popolo: il suo regno comprendeva territori che oggi si dividono tra Ucraina e Russia. Il secondo Vladimir è l’attuale presidente russo, Vladimir Putin, che ha fondato la sua immagine di leader russo e leader mondiale presentandosi come il leader del cristianesimo ortodosso e forse non solo. Ma di certo in termini russi la sua immagine e la sua forza stanno in particolare qui, nella sua rappresentanza della cristianità ortodossa.
La storia millenaria che si frappone tra i due è una storia di supremazia imperiale, con l’Ucraina che ha cominciato a rivendicare il proprio diritto ad avere una Chiesa autocefala, cioè ucraina e indipendente da Mosca, già nel 1921, dopo la fine della Grande Guerra. Poi, quando si è disfatto l’impero sovietico e l’Ucraina è tornata, forte di un referendum popolare, alla sua sovranità e piena indipendenza da Mosca, la questione ecclesiale è tornata a porsi sempre più forte, fino a quando i territori dell’est dell’Ucraina sono divenuti la base di azioni militari. Così i problemi che si pongono sono di sicurezza nazionale e di identità. Per la sicurezza la questione può essere spiegata ricordando l’indagine condotta dall’Associated Press, per la quale gli hacker russi hanno tentato per anni di accedere a corrispondenza privata da personale della Chiesa ortodossa. Poi c’è la questione territoriale: rivendicando l’Ucraina come proprio territorio il patriarcato di Mosca rivendica giurisdizione su un’area enorme, ma rivendica anche luoghi, e luoghi di primaria importanza, essendo Kiev il luogo della conversione di Vladimiro il Grande e quindi della Rus’, che si estendeva nell’odierna Russia. Tanto che una volta Putin ha definito Kiev “la madre delle città russe”. Tutto questo è risuonato quasi chiaro nelle parole pronunciate da Vladimir Putin dopo l’annessione della Crimea, quando sembrò dire che russi, ucraini e bielorussi sono un popolo per via dell’unità della loro Chiesa. Si può forse desumerne che gli ucraini per Mosca sono russi perché a Kiev origina la loro storia cristiana e quindi, per alcuni, anche quella famosa pretesa di che Mosca sia la Terza Roma, come disse il celebre Filofei: “Tutti i regni cristiani sono giunti alla loro fine e si sono fusi nell’unico regno del nostro sovrano”, scriveva Filofej in una delle sue lettere. “Due Rome sono cadute, ma la terza resiste e non ve ne sarà una quarta”.
La decisione del patriarca ecumenico di ritirare la scomunica inflitta da Mosca ai due promotori del riconoscimento di indipendenza ecclesiale, Makarios e Filarete, non per motivi di fede, di dogmi, di teologia, ma di rivendicata indipendenza in seguito alla scelta popolare e alla ritrovata sovranità appare quindi in primis una scelta di buon senso. Come sostenere, in buona sostanza, l’unicità ecclesiale tra due popoli che si combattono? Infatti per Aristotele Papanikolaou, co-presidente del centro studi sul cristianesimo ortodosso alla Forham University, “questo esito era inevitabile dopo le escursioni militari russe in Ucraina orientale”.
Ora Mosca potrebbe rifiutarsi di riconoscere il nuovo patriarcato ucraino, l’opzione blanda, oppure rompere l’unità sacramentale, il che significa che agli ortodossi non russi presenti in quel Paese potrebbe essere rifiutata la partecipazione alla comunione, l’opzione esplosiva. Ma la questione resterà a livello ecclesiale? C’è chi arriva a temere che Erdogan, che in queste ore ha rilasciato il pastore americano arrestato due anni fa e che tanti guai ha causato alle relazioni di Ankara con Washington, si trova nella condizione di potersi ingraziare l’autorevole vicino Putin, se volesse. Al Fanar, quartiere dove si trova il patriarcato ecumenico e che si trova sul Corno d’Oro, a Istanbul, lo sanno e questo può aiutare a capire quanto coraggio abbia avuto il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, avviando quelle che Nikos Tzoitis ha definito “le procedure per la concessione di quella che risulta l’ultima, in ordine del tempo, autocefalia nel pianeta ortodosso, consuetudine quest’ultima applicata a tutte le Chiese ortodosse, nate dopo il primo millennio. Com’è noto, la tendenza nell’ortodossia è stata quella di stabilire una Chiesa per ogni nazione, che avesse una guida propria”.