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Lo stallo sui vertici dell’intelligence non può durare. E serve l’autorità delegata

intelligence, Ocone

Com’è tradizione secolare in politica tutto si tiene, quindi sarebbe sbagliato pensare che l’agenda è fatta soltanto dei numeri dalla manovra economica. Il mondo va veloce e intorno a noi accadono cose strane o, qualche volta, stranissime, come nel caso della “scomparsa” da molti giorni del presidente dell’Interpol, il cinese Meng Hongwei: partito dalla Francia verso il suo Paese d’origine ha interrotto ogni forma di comunicazione da giorni (forse a causa di un provvedimento restrittivo delle autorità cinesi), senza però nessuna spiegazione ufficiale.

Un vero e proprio “giallo” che dovrà trovare presto una soluzione, ma che spiega con eloquente forza di argomenti la complessità degli scenari internazionali nei quali ormai si gioca la partita del mondo globale.

In questo contesto si inserisce con ruolo di primo piano la conferenza sulla Libia che il governo italiano sta organizzando per novembre a Palermo, immaginata per ribadire la nostra centralità nei difficili equilibri post-Gheddafi.

L’intenzione di Palazzo Chigi è giusta e serve anche a rintuzzare gli “sconfinamenti” francesi, ma proprio per questo occorre dare vita ad un appuntamento ben preparato e ben organizzato, poiché non tutti nel mondo (a Parigi in primis) tifano per la buona riuscita dell’evento.

Al tempo stesso però a Palazzo Chigi si perde tempo sul delicatissimo dossier dei vertici dell’Intelligence, con due delle tre figure più importanti (il capo del Dis Alessandro Pansa e quello dell’Aise Alberto Manenti) costrette ad operare in regime di “proroga”, il che rende difficile la presa in carico di operazioni fuori dall’ordinaria amministrazione (esattamente come la conferenza di novembre).

Ora sul punto bisogna essere chiari: a quel livello di responsabilità ed esperienza sempre ci si muove con massimo spirito di servizio e assoluto senso dello Stato, però è del tutto evidente che la situazione non è quella ideale, anche alla luce del fatto che le dimissioni del generale Manenti sono state formalizzate da tempo.

Questo è il contesto che trova oggi forte visibilità sulle pagine di Repubblica grazie ad un approfondimento a firma di Gianluca De Feo, in cui emerge tutto il disagio dei nostri apparati di sicurezza per questo ritardo nelle decisioni delle autorità di governo.

La “paginata” di oggi potrebbe essere di stimolo per fare presto (e sarebbe ora, visto che se ne discute ormai da tre mesi almeno), quindi non possiamo che sperare abbia effetto. Nel merito poi ci pare di poter dire che due elementi vanno facendosi strada.

Il primo riguarda i nuovi capi delle agenzie, dove l’elemento di continuità istituzionale dovrebbe prevalere su soluzioni più ispirate alla mutata natura della maggioranza di governo. Sulla “continuità” c’è convergenza tra Quirinale e Palazzo Chigi, con il premier Conte che non darà dispiaceri sul punto al Capo dello Stato.

Siccome però la politica conta (e non poco in questa fase, con Salvini e Di Maio forti di vasto consenso popolare) è alle porte una diversa distribuzione delle deleghe in materia di Intelligence (oggi assegnate a Conte).

Si dovrebbe presto tornare ad uno schema (peraltro spesso usato anche in passato) che vede attribuita la responsabilità politica in materia ad un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (Gianni Letta e Marco Minniti, tanto per fare due esempi), in modo tale da ribadire che il governo giallo-verde non intende chiamarsi fuori dai temi delicati.

Servirà un nome dunque, che dovrà essere adeguato alla sfida. Di certo però sarà sul lato giallo, poiché verde è già la casella del Viminale.

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