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Vietato gioire per l’accordo con Uk: l’Europa è moribonda

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L’accordo di partenariato tra UK e Ue che ha appena visto la luce è una buona notizia, ma non sufficiente a mitigare il disastro compiuto in questi ultimi anni.

L’Europa è oggi una creatura politica inguardabile (come risulta evidente dal fatto che nessuno vuole più entrarci (una sola adesione, la Croazia, negli ultimi dieci anni), con squilibri fortissimi in favore della finanza e del sistema bancario e scarsa o nulla integrazione in materia di politica industriale, di fusione delle forze di polizia (e di intelligence e militari), di armonia fiscale, di gestione dell’immigrazione o dei sistemi previdenziali e di welfare.

Insomma l’Europa di oggi è buona per i banchieri (soprattutto se tedeschi e francesi) ma risulta indigesta per quasi tutti gli altri, con episodi (come la gestione della crisi greca) che dovremo studiare nei loro effetti reali quando sarà passato ancora un po’ di tempo.

In questa Europa cade come una bomba il referendum inglese su Brexit del 2016, al quale però la classe dirigente del continente reagisce con fastidio misto a rassegnazione, mostrando così la propria assoluta inadeguatezza.

Bruxelles, dominata da figure modeste come Tusk e Juncker, è ormai sede di un mandarinato autoreferenziale che ha perso ogni contatto con la realtà, mentre intorno ad esso operano capi di governo fragili, contestati, usurati.

È il caso di Angela Merkel che, pur essendo una protagonista di prima grandezza della storia politica recente, è ormai a fine corsa e da molti anni si dedica ad un solo e devastante obiettivo: la difesa dell’interesse nazionale tedesco, unico strumento per mantenere in vita (ancorché drasticamente ridimensionato) il suo partito e il suo governo.

Ed è il caso di Emmanuel Macron, che in meno di una anno ha gettato via un patrimonio di credibilità e speranze imponente, come plasticamente dimostrato in questi giorni dalle manifestazioni di piazza dei “gilet gialli”.

Questa Europa delle regole soffocanti e delle banche è oggi priva di guida morale e politica, orfana di figure (da Jacques Delors a Helmut Khol, da Francois Mitterand a Lech Walesa e Vaclav Havel) in grado di coniugare istanze dal basso con ragionamenti da élite, con l’effetto che i popoli finiscono per usare le urne elettorali per gridare tutta la loro ribellione (mista ad impotenza).

Dobbiamo usare l’arma della verità proprio per questa allora, per denunciare lo stato reale delle cose.

E dobbiamo anche dire che la stessa creatura dell’euro necessita di un ragionamento in profondità, perché se da un lato è innegabile la forza e la sensatezza dello strumento della moneta unica (e fecero bene Prodi e Ciampi a battersi in tal senso) e altrettanto vero che non è accettabile avere fermato a metà il processo di reale integrazione in tema di finanza pubblica, con il risultato che abbiamo 19 nazioni con una sola moneta e 19 diversi bilanci dello Stato, 19 soggetti che emettono titoli di debito pubblico, 19 sistemi fiscali, 19 leggi di bilancio e così via.

Insomma abbiamo sì una moneta per 19 Paesi, ma non abbiamo un governo per quei 19: squilibrio logico con cui dovremo fare i conti (prima o poi).

Ebbene la giornata di oggi a Bruxelles è il sigillo “imperiale” a questo stato di cose, perché si è celebrato un rito apparecchiandolo come un matrimonio (l’accordo raggiunto con UK dopo una lunga e faticosa trattativa) mentre invece si tratta di un funerale, perché l’Europa senza la Gran Bretagna semplicemente “non è”, oppure, nel migliore dei casi, è tutta un’altra cosa.

Occorre infatti ricordare che il progetto europeo nasce sulle macerie ancora fumanti della Seconda Guerra Mondiale, quando Italia e Germania dichiarano guerra alla Francia ed alla Gran Bretagna.

Ma mentre Parigi capitola in poche settimane (alla faccia di quello che veniva descritto come l’esercito più forte del mondo nelle cronache dell’epoca), Londra reagisce con forza all’imperialismo nazista e fascista, riuscendo a trascinare (con la “complicità” giapponese, dopo l’attacco vile di Pearl Harbour) un riluttante Franklin Delano Roosvelt ad armare la più grande missione militare della storia dell’umanità, cioè la liberazione dell’Europa.

Quindi il “sogno” di Altiero Spinelli diventa realtà innanzitutto grazie al fatto che le potenze naziste e fasciste (con annesse leggi razziali) vengono rimesse al loro posto (cioè il buco nero della storia, quello riservato agli artefici di nefandezze irrimediabili) anche (ma potremmo dire innanzitutto) grazie alla resistenza inglese, senza la quale le cose sarebbero andate assai diversamente.

Ecco perché l’Europa senza la Gran Bretagna è la negazione di sé stessa ed ecco perché la bolsa reazione di Bruxelles (e Berlino, Roma, Parigi, Madrid) di questi due anni segna il fallimento politico più grave del nostro tempo recente.

A pochi mesi dunque dalle elezioni di maggio 2019 l’Ue del Trattato di Maastricht è morta e questa domenica di novembre ne sigla il referto.

Tra pochi mesi le urne ci consegneranno un Parlamento Europeo con un numero di eletti “euroscettici” mai visto prima, con conseguenze ancora tutte da immaginare, comprendere, verificare.

Il tempo per un forte ripensamento dell’idea politica di Europa è dunque questo, perché non con certezza ne avremo un altro.

Un tempo nel quale, pur essendo lui a tutti gli effetti esponente di prima grandezza dell’élite finanziaria internazionale, si staglia in modo imponente la figura di Mario Draghi.

Alla fine lui ha saputo mettere in campo un disegno, un progetto.

Ma potrebbe non bastare.

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