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La musica non cambia. Il Pd (ri)parte dalla fine

Ci risiamo. Il Partito democratico ha deciso di andare a congresso in tempi brevi per eleggere il nuovo segretario, che dovrebbe rappresentare l’alternativa ai partiti di governo che oggi guidano il paese. Ci si attendeva un atto di resipiscenza, prospettando delle novità straordinarie che facessero riflettere e discutere cittadini, elettori, iscritti, militanti, invece, niente. Si spera che strada facendo le cose prendano una piega positiva. Non si conoscono ancora le norme che regolano il percorso organizzativo e politico, dall’inizio alla fase finale. È auspicabile una seria e articolata riflessione dei diversi momenti negativi vissuti da un partito nato dalla fusione a freddo di alcuni ex comunisti con altri ex democristiani.

Ancora oggi si tace su tutta la fase che va dal fallimento delle riforme istituzionali del dicembre 2016 alle elezioni politiche del marzo 2018, il cui responsabile non può essere solo Renzi, trascurando i vari Enrico Letta, Bersani, D’Alema, Veltroni, Franceschini, Gentiloni, Zingaretti, Martina, Minniti. Nessuno ha mai avuto il coraggio di intestarsi la responsabilità di un confronto franco, aperto, sincero sulle ragioni delle ripetute sconfitte. Interessava il potere, e il consenso per legittimarlo, tanto è vero che chi è riuscito a conservare la propria nicchia se la tiene ancora stretta, e da lì vuole partire per conquistare i vertici del partito. Non mi pare una linea di comportamento onesta, coerente e lineare.

Oggi è la stessa cosa, la musica non cambia, a parte il minimo di opposizione che il Pd sta praticando, nessuno insiste e ha voglia di discutere di passato, di omissioni, di errori, di tradimenti. Tutti si avviano a celebrare le assise congressuali partendo dalla fine, commettendo per l’ennesima volta l’ennesimo errore, scegliendo prima il candidato alla segreteria e poi tutto il resto. È il più grave sbaglio, che ha dato spazio alla deriva della nostra democrazia, inserendo surrettiziamente nell’ordinamento modelli di democrazia plebiscitaria.

Un partito politico, che opera secondo Costituzione, non può abbandonarsi a diventare circolo elettorale. Deve prima d’ogni cosa seguire una storia, una cultura, un’etica, una politica, un’organizzazione democratica interna reale e concreta e non fittizia, e poi scegliere il leader in grado di rappresentare e di fare sintesi delle varie posizioni espresse dalla moltitudine degli iscritti e dei militanti. Trascurando il ruolo, la funzione, la missione del partito nella società si è ineluttabilmente destinati al tracollo. Si può vincere una volta, ma poi la sconfitta distruttrice arriva. E arriva per tutti!


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