Il quadro che viene fuori dal Rapporto sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che soffre, presentato a Roma nei giorni scorsi ed illustrato su Formiche.net dal presidente italiano dell’organismo che lo ha redatto, Alfredo Mantovano, con accenti accorati e lucida individuazione delle responsabilità della tragedia planetaria che riassume, è un documento che dovrebbe far riflettere cittadini e classi dirigenti mentre si ha la desolante impressione che poco o nulla colpisca quanto in esso è ampiamente riportato.
Che nel mondo un cristiano su sette viva in un Paese di persecuzione, sembra che poco importi a chi fa mostra di sensibilità per casi di altra natura o addirittura meno gravi. Che siano quasi 300 milioni i cristiani a cui viene data letteralmente la caccia, non eccita i media distratti probabilmente da altre storie. Che in trentotto Stati, nel periodo preso in esame dal Rapporto, cioè negli ultimi due anni, si sia riscontrato un altissimo aumento delle violazioni della libertà religiosa non desta inquietudini in quei governi, soprattutto occidentali, che della retorica dei diritti umani hanno fatto un mantra da utilizzare in ogni occasione. Ma non quando di mezzo ci sono cristiani che soffrono in ragione della loro fede. Anzi, con ben ventuno Paesi nei quali si registrano le più gravi a violazioni della libertà religiosa, i suddetti governi intrattengono buoni o ottimi rapporti, mai mettendo in evidenza, negli incontri bilaterali o negli sconclusionati vertici multilaterali, che il rispetto delle credenze e delle fedi dovrebbe venire prima dei molti preoccupati discorsi sulla crescita, sul Pil o sull’export.
Con Afghanistan, Arabia Saudita, Bangladesh, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea, India, Indonesia, Iraq, Libia, Niger, Nigeria, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan e Yemen non c’è chi, dagli Stati Uniti all’Italia, non cerchi accomodamenti di ogni tipo fino a dimenticare gli orrori che vengono perpetrati per esempio nella Corea di Kim Jong-un o nella Cina di Xi Jinping, tanto per citare due Paesi “chiave” nella repressione dei diritti umani. Degli altri, attraversati o posseduti dal terrorismo islamista è inutile dire.
Neppure vanno dimenticati gli Stati, con cui sempre l’Occidente, ed in particolare l’Unione europea, detiene buoni rapporti per motivi commerciali e soprattutto, dove viene sistematicamente praticata la discriminazione nei confronti dei cristiani. Sono diciassette: Algeria, Azerbaigian, Bhutan, Brunei, Egitto, Federazione Russa, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Laos, Maldive, Mauritania, Qatar, Tagikistan, Turchia, Ucraina e Vietnam.
L’India, grande Paese emergente, sul punto di superare demograficamente la Cina, si segnala come il Paese nel quale l’intolleranza ha assunto proporzioni inimmaginabili fino a qualche tempo fa. Il forte aumento delle violenze ai danni delle minoranze religiose è coinciso con l’ascesa del Bharatiya Janata Party (Bjp): nel 2017 sono stati infatti compiuti 736 attacchi contro i cristiani, quasi il doppio rispetto ai 358 del 2016.
La Cina, partner ormai strategico di tutto l’Occidente che s’inchina al nuovo “imperatore rosso” Xi Jinping, negli ultimi due anni ha adottato nuovi provvedimenti per reprimere i gruppi di fede percepiti come resistenti al dispotismo delle autorità comuniste. Nel gennaio 2018 il governo ha introdotto nuovi “regolamenti sugli affari religiosi”, che impongono ulteriori restrizioni ai gruppi religiosi, le cui attività – come viene documentato nel Rapporto – “sono limitate ad alcuni luoghi specifici”. In alcune zone del Paese, viene rivelato, ai cristiani è stato offerto denaro per rimuovere le immagini natalizie del Bambino Gesù sostituendole con ritratti dell’onnipotente presidente Xi, mentre nell’aprile scorso la vendita online della Bibbia è stata proibita. La Chiesa di Roma, proprio in questi mesi, sta intensificando i rapporti con il governo cinese trovando accordi che definire assurdi e incomprensibili ci pare a dire poco inadeguato per la nomina dei vescovi. I cattolici sono frastornati, almeno quelli che seguono queste vicende, ma la strada imboccata sembra che sia senza ritorno per il Vaticano.
Non solo i cristiani finiscono nella morsa della persecuzione “capital-comunista” cinese. Le autorità, sempre nell’indifferenza dei governi e delle organizzazioni umanitarie, continuano nella persecuzione degli Uiguri, il più grande gruppo musulmano del Paese per i quali il governo di Pechino sta costruendo migliaia di “campi di rieducazione” e si ritiene che almeno 100.000 uiguri siano detenuti a tempo indefinito in questi veri e propri gulag. Della questione del Tibet ormai non si parla più.
Ma è il Pakistan, Paese da sempre “strategico” e privilegiato dagli Stati Uniti d’America, che desta le maggiori preoccupazioni. La crescente dimensione degli gli estremisti islamici, determinati a trasformare il Paese in uno Stato fondato sulla Shari’a, blocca le modifiche pur avanzate da settori sociali e politici meno succubi del qaedismo, alla controversa legge sulla blasfemia, che minaccia le minoranze e della quale la vittima più illustre è stata la cristiana Asia Bibi il cui calvario non ha ancora avuto fine.
Al riguardo va tenuto presente che la donna, pur ritenuta “in salvo”, non si sa dove sia. È certo, comunque, che dopo la “sorprendente” assoluzione, per la quale il giudice che ha disposto la sentenza è stata dichiarata nemico assoluto dagli islamisti e rischia seriamente la vita. E la sua storia non è finita. Asia Bibi è in pericolo, come lo è tutta la sua famiglia rimasta in Pakistan e delle cui sorti i rappresentanti del cosiddetto “mondo libero” non sembrano darsi eccessiva pena.
In effetti non abbiamo visto striscioni su edifici pubblici. Neppure le solite associazioni umanitarie, a cominciare da Amnesty Internazional, si sono mobilitate. Le istituzioni rappresentative hanno brillato per disinteresse e i soliti canali ecclesiastici, a quanto sappiamo, non hanno dato prova di eccessivo interessamento.
I familiari di Asia Bibi, detenuta quasi dieci anni con l’accusa di blasfemia, di cui otto nel braccio della morte, hanno denunciato la situazione di estremo pericolo nella quale si trovano. Il quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato un intervento di John Pontifex, sempre dell’Associazione Aiuto alla chiesa che soffre nel Regno Unito nel quale si legge: “Nel loro quartiere sono stati segnalati mullah che vanno di casa in casa a mostrare le foto dei familiari sui telefoni, dando loro la caccia. La famiglia deve spostarsi da un posto all’altro per evitare il riconoscimento. Lo fanno solo dopo il tramonto per evitare di essere riconosciuti. Si devono coprire i volti quando escono”.
In una conferenza stampa tenuta a Francoforte, Asia Bibi e la sua famiglia, ha spiegato il legale che li assiste, “hanno bisogno di un visto o un passaporto di un altro Paese. Per lei, qualsiasi Paese occidentale in cui possa vivere sarà accettabile. Ma finora nessun governo si è fatto avanti”. Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini nei giorni scorsi rispondendo all’appello del marito di Asia ha detto:”Ci stiamo lavorando con discrezione e attenzione insieme ad altri Paesi occidentali. Farò tutto il possibile per garantire un futuro a questa ragazza”. Finora non s’è visto niente. Forse la discrezione è un po’ troppo eccessiva…
Il pessimismo è autorizzato. Sul piano internazionale gli islamisti e coloro che hanno stretti rapporti con loro, non soltanto nel mondo arabo, avvertono l’indifferenza dell’Occidente come una sorta di accondiscendenza nei confronti dei loro barbari metodi. Il cristianesimo muore in tanti modi, a cominciare dall’ateismo dilagante e dal relativismo etico che sono i nuovi “segni” di un imbarbarimento delle terre che furono cristiane e cattoliche nei tempi andati. Si spopolano le Chiese (in Francia, e segnatamente a Parigi) stanno chiudendo molti luoghi di culto, i seminari sono vuoti, la depressione di un mondo permeato dalla fede è crescente. Unitamente si fa strada con forza persuasiva non immune da atti criminali una islamizzazione che l’Occidente per la sua congenita debolezza morale e culturale, oltre che religiosa, non riesce più a frenare. C’è di che essere preoccupati. E non è solo Asia Bibi a ricordarcelo.