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Adesso è ufficiale, l’Italia s’è fermata. Firmato Istat e Csc

Stop. La crescita in Italia si è fermata. E nel caso qualcuno avesse ancora dubbi sul fatto che l’Italia stesse da mesi in debito di ossigeno, ci ha pensato l’Istat a dire come stanno veramente le cose. L’economia dello Stivale si è ufficialmente impantanata a meno di un mese da Natale. Nel terzo trimestre del 2018 il Pil corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e aumentato dello 0,7% rispetto allo stesso trimestre del 2017. Ma non è questa la cattiva notizia. Il fatto è che quel -0,1% rappresenta il primo dato congiunturale negativo dal secondo trimestre 2014 (-0,1%), quindi dopo 14 trimestri di crescita: il primo calo in quattro anni. La manovra gialloverde, al netto dell’ottimismo del premier Giuseppe Conte, che a pochi minuti dalla diffusione del dato ha annunciato una pronta correzione di rotta, non potrà fare miracoli. Ma certo è che la spia, quella rossa, si è accesa. E non solo quella dell’Istat.

Mentre l’Istituto di statistica diffondeva i numeri dell’orrore, il Centro studi di Confindustria dava un’altra ma non diversa lettura della situazione. Rilevando per novembre un calo della produzione industriale dello 0,5% su ottobre, quando la stima era risultata positiva dello 0,1% su settembre. Naturalmente le due voci sono legate a doppio filo, perché se rallenta l’industria allora batte la fiacca anche il Pil. “Sul dato di novembre può avere inciso negativamente il possibile ponte di venerdì (Ognissanti, ndr)”, precisa Confindustria, anche se alla fine la sostanza cambia poco. Nel corso del 2018, aggiunge Viale dell’Astronomia, la produzione industriale ha gradualmente perso terreno: i livelli in novembre sono inferiori del 2,1% rispetto al picco di dicembre 2017 e non si intravedono segnali di miglioramento per i prossimi mesi.

“Il freno alla dinamica dell’attività è venuto da entrambe le componenti della domanda, che già nei mesi scorsi avevano mostrato una crescente debolezza. I principali indicatori congiunturali (immatricolazioni, vendite al dettaglio) sono su livelli bassi e calanti e confermano un trend di deciso rallentamento del ciclo”, scrive Confindustria nel suo bollettino. “Il persistere di timori e l’accresciuta incertezza degli operatori economici (imprese e famiglie), cominciano a far sentire gli effetti sull’economia reale attraverso il rinvio della decisioni di consumo e di investimento e l’aumento del risparmio. In novembre è tornata a peggiorare la fiducia delle famiglie, dopo due mesi di recupero, con l’indice sceso ai minimi da maggio il calo è dovuto a valutazioni più negative sulla situazione corrente, sulla disoccupazione e sul contesto economico futuro. Nel manifatturiero, con l’unica eccezione di settembre, la fiducia è in progressivo calo da marzo 2018 in novembre ha toccato i minimi da due anni”.

Due annotazioni. La prima è che ancora una volta i numeri si trasformano in pallottole, visto che il vicepremier Luigi Di Maio ha dato la colpa per il dato odierno sul Pil alla manovra precedente, quella recante la firma di Paolo Gentiloni e Piercarlo Padoan: “l’ultima manovra di Gentiloni era una manovra insipida che non aiutava nessuno”. La seconda è che spread e Borsa non hanno accusato il colpo Istat-Csc. Meno male.

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