Lo spread non è una superstizione, ma una realtà. Rispecchia il rischio che l’investitore ritiene di correre comprando titoli del debito pubblico italiano. O, se si preferisce, quanto può chiedere in più per prestare i propri soldi all’Italia. Al livello in cui si trova comporta un progressivo dissanguamento. Senza dimenticare che siamo ancora sotto l’effetto dell’espansione monetaria indotta dalla Banca centrale europea. Abbiamo i calcoli al rene, ma anche dell’antidolorifico in vena. Cosa succederà quando il farmaco diminuirà o dovesse mancare?
Il governo italiano e le forze che lo sostengono rispondono che: a. l’Italia non ha finanza allegra, perché da molti anni in avanzo primario; b. il debito aggregato, pubblico più privato, è inferiore a quello di altri europei. Vere entrambe le cose, che scrivo e dico da molti anni. La cosa curiosa è che quando le sostieni ti dicono che sei “servo” di chi governa in quel momento, salvo poi passare al servizio di quelli che te lo dicevano, il che tradisce un tragico errore: sia il governo attuale che quelli precedenti suppongono siano dei meriti, invece sono colpe.
Dal 1992 siamo in avanzo primario (salvo il 2009). Vale a dire che prima di pagare gli interessi sul debito pubblico lo Stato spende meno di quel che incassa. Ma da tempo lungamente precedente e poi sempre siamo in deficit. Vale a dire che dopo avere pagato gli interessi lo Stato ha speso più di quel che ha incassato, dovendo così contrarre nuovo debito. Dov’è il merito? Da una parte si evidenzia il peso micidiale di un debito spropositato, che ci ha impedito di spendere di più quando sarebbe stato necessario (come altri hanno fatto), e un deficit che è rimasto tale anche quando la spesa per interessi è notevolmente diminuita, grazie all’euro prima e alla Bce poi. Ciò indica che il Paese perde costantemente e progressività capacità di crescita, competitività, sicché l’accumularsi di deficit e debito supera il cumularsi dell’incremento del pil. Meno di tutti gli altri Ue.
Un Paese che non ha fatto riforme necessarie, che ha un sistema formativo incapace di generare quel che serve alla produzione, la peggiore giustizia d’Europa, la più alta spesa pensionistica e via elencando, ma che s’incaponisce a sostenere che facendo più deficit riuscirà a crescere di più, quando l’evidenza dei fatti dimostra non solo il contrario, ma che quel veleno uccide la crescita. Anche perché la spesa premia le rendite e la fiscalità, per tenersi in equilibrio, toglie risorse a chi produce. Follia.
Vero che il patrimonio degli italiani supera largamente il debito pubblico, ma se lo si dice, anche solo dicendolo, si suggerisce quel che poi ci si offende se lo deducono altri: usate il patrimonio per abbassare il debito. La patrimoniale. E se il debito pubblico è assai più alto della media Ue, mentre quello privato è più basso, significa che le risorse finanziarie le ciuccia via lo Stato, togliendole al sistema produttivo e agli investimenti familiari. Una perversione che genera miseria.
Non bastasse questo, il risparmio degli italiani rende ancora perché è significativamente investito all’estero, grazie a intermediari. Tutto regolare, nulla di riprovevole, salvo il fatto che finanzia la crescita di altri e non la nostra. Ha senso supporre di riportarne una parte (una parte) a casa se si consente alle aziende di crescere dentro i confini, il che comporta meno fisco, meno vincoli, più formazione adeguata, giustizia tempestiva, meno burocrazia e così andando. Siccome ci muoviamo in direzione esattamente opposta (monumentale l’errore della prescrizione) si pensa di rimediare spezzando le gambe a chi delocalizza, così promuovendo le diseconomie e asfissiando la crescita. Quelle due bandiere, l’avanzo primario e il basso debito privato, sono la segnalazione dei nostri problemi. Siccome le sventolano supponendo siano la soluzione c’è poco da stupirsi se l’effetto è deprimente.