Quando la scorsa settimana la propaganda di Pyongyang ha fatto sapere che il satrapo Kim Jong-un aveva partecipato al test di una nuova arma tattica – interrompendo mesi di astinenza, considerata come best practice da offrire agli americani – Washington non si è scomposta. È rimasta tranquilla, ha valutato come fondamentale l’impalcatura di dialogo e negoziati costruita negli ultimi mesi; più della mossa di Kim, considerata più che altro come un elemento di stabilizzazione interno, ossia, per il leader, un modo per non perdere terreno con le ali più intransigenti del regime (quelle che considerano i contatti con gli Stati Uniti una sorta di tradimento della storia, dopo anni in cui l’America era il nemico a cui agganciare l’intera narrativa del potere del Nord).
Non a caso, la propaganda della satrapia non perde occasione per criticare gli Usa. “Gli Stati Uniti hanno dimenticato gli obiettivi concordati durante il summit di Singapore. Hanno spostato il treno dalla linea fondamentale, quella del miglioramento delle relazioni tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti, e lo hanno confinato in una linea secondaria, quella della denuclearizzazione attraverso la massima pressione”, scrive oggi nel suo editoriale uno dei media del governo di Pyongyang.
Ieri è uscito anche il vicepresidente americano, Mike Pence, a cui la Casa Bianca ha evidentemente affidato il compito di dettare tempi e toni su certi dossier asiatici (per esempio, quello gigante con la Cina, oppure questo delicatissimo col Nord). In un’intervista alla Nbc ha detto che sarebbe fondamentale che al prossimo incontro tra Kim e Trump – “In programma per l’inizio del prossimo anno” – si potesse arrivare a un dichiarazione congiunta da cui partire per “un piano per lo smantellamento delle armi nucleari” (sottinteso: nordcoreane). Anche in questo, linea del dialogo sopra ogni cosa – mentre i centri di osservazione come 38 North, l’autorevole sito che segue quel che succede nella penisola coreana per lo Us-Korea Institute della Johns Hopkins University, continuano a dire che in realtà il Nord di progressi non ne sta facendo troppi sul suo programma atomico.
Oggi a Washington c’è il rappresentante speciale della Corea del Sud per la pace nella Penisola coreana e gli affari di sicurezza, Lee Do-hoon, che vede il delegato della Casa Bianca per la crisi nordcoreana, Stephen Biegun: i due, secondo esplicita dichiarazione del dipartimento di Stato – l’ala del governo americano che attraverso il suo direttore Mike Pompeo sta curando i contatti con Pyongyang – hanno come obiettivo quello di “rafforzare ulteriormente lo stretto coordinamento (tra Washington e Seul) per conseguire l’obiettivo comune di una denuclearizzazione definitiva e completamente verificabile”.
Se i contatti tra Stati Uniti e Corea del Nord si sono riavviati, il merito è quasi tutto ascrivibile al presidente sudcoreano Moon Jae-in, che con la riapertura del dialogo intercoreano ha lanciato il processo, Kim e Donald Trump hanno seguito, poi, la traiettoria. Seul, che come Washington ha tenuto una linea morbidissima rispetto all’ultimo test, sta investendo nella sponda dell’alleato americano per proteggere quello che finora s’è costruito. E il Palazzo Blu, dove governa un presidente che non ha molta empatia con chi risiede alla Casa Bianca, sa che per farlo deve mantenere attivo il canale di relazione con Trump e i suoi uomini.
Nell’incontro odierno, uno degli argomenti in discussione è la dichiarazione formale sulla fine della Guerra di Corea, combattuta tra Nord contro Sud (con appoggio americano), tra il 1950 e il 1953. Pyongyang da tempo vuole che Washington proclami chiuse le ostilità, e i funzionari dei due paesi alleati – Usa e Sudcorea – stanno definendo i dettagli.
Però, la fine della guerra potrebbe ormai essere diventato un obiettivo secondario, ha fatto notare la scorsa settimana l’analista dell’Ispi Francesca Frassineti, con il Nord che ha spostato la sua attenzione sull’inizio di concessioni riguardo le sanzioni; Kim potrebbe chiedere l’avvio del sollevamento del sistema di massima pressione con cui gli americani pressano l’economia nordcoreana in cambio dell’inizio di una denuclearizzazione.
Sotto quest’ottica, il Nord sta preparando l’ex sito nucleare di Punggye-ri per le visite di ispettori internazionali: il regime sostiene che lo smantellamento è stato un suo primo, importante, passo e segno di apertura, ma gli analisti concordano nel dire che l’impianto ormai era reso inutilizzabile dai vari test tenuti nel corso degli anni.