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Di Maio tranquillizza su Cina e Huawei, ma i timori per la sicurezza restano

Gli investimenti delle imprese cinesi in Italia non rappresentano un problema per la sicurezza. Parola di Luigi Di Maio, che oggi è tornato a esprimersi sui pericoli che, a detta di addetti ai lavori e apparati di intelligence, deriverebbero dalla presenza nella Penisola di aziende come Huawei nel settore delle tlc.
“Da ministro dello Sviluppo economico che riceve report sulla sicurezza nazionale”, ha detto il vice presidente del Consiglio in un punto stampa, “non ho alcuna avvisaglia o sentore di problemi su questo genere di investimenti”. Un’opinione, quella di Di Maio, in contrasto con quanto rilevato a più riprese da esperti sentiti da Formiche.net e dagli stessi servizi segreti occidentali (compresi quelli italiani), non nuovi ad alert su questo tema.

LA MISSIONE IN CINA

Per il titolare del dicastero del Mise, in queste ore a Shanghai per promuovere al Forum del commercio e dell’innovazione il meglio delle aziende della Penisola (qui i nomi presenti e gli appuntamenti in programma), “le relazioni commerciali con la Cina si basano sul G2G” (Government to Government, ndr) e “se i governi non si parlano è difficile per le imprese andare avanti”. Roma e Pechino, ha ribadito, “possono fare partnership su grandi progetti. Gli incontri che ho qui sono volti proprio a permettere investimenti in Italia in nuove tecnologie, agroalimentare, turismo, automotive e meccanica”.
L’economia cinese, ha aggiunto il leader dei pentastellati, “sta chiedendo tantissimo il buon mangiare italiano, il design italiano e il made in Italy, è mio dovere da ministro dello Sviluppo economico favorire queste aziende”.

UNA QUESTIONE DI SICUREZZA

D’altronde, hanno commentato su queste colonne diversi esperti di geopolitica, economia e sicurezza, la sfida per l’attuale esecutivo è proprio questa: sfruttare al meglio le tante opportunità economiche derivanti da un mercato enorme e in crescita come quello cinese (che l’esecutivo di M5S e Lega vuole intercettare anche grazie al lavoro di una Task Force del Mise dedicata ai rapporti sino-italiani, guidata dal sottosegretario Michele Geraci), senza però cedere su investimenti più delicati riguardanti tecnologie strategiche come il 5G, dove Huawei sembra aver acquisito nella Penisola una posizione preferenziale.
“Ci si preoccupa tanto dei device, ovvero di ciò che può accadere con l’utilizzo di smartphone, tablet o pc non sicuri”, ha spiegato in un’intervista con questa testata Giuseppe Esposito, già vice presidente del Copasir, il comitato parlamentare di vigilanza sui servizi segreti, “ma non viene ancora posta la giusta importanza sul ruolo dell’infrastruttura. Chi controlla le reti controlla tutte le informazioni, anche h24. Il tema, ha sottolineato Esposito, non è solo e tanto la presenza di player cinesi, quanto che “dalle nostre reti transitano tutte le informazioni e i dati riguardati asset critici della nazione, penso a quelli della diplomazia, della difesa o a quelli energetici. Purtroppo da questo punto di vista i governi che si sono succeduti dal 2011 in poi non hanno fatto molto, anzi, nonostante non solo i nostri appelli ma anche i timori più volte sollevati dalla nostra intelligence, che ha strutture dedicate a questo genere di problematiche”.

LE TENSIONI INTERNAZIONALI

Non a caso il tema delle reti e della tecnologia 5G è da tempo al centro dello scontro globale tra Cina e Stati Uniti, con questi ultimi che non perdono occasione per denunciare pubblicamente l’aggressività di Pechino nel cyber spazio per acquisire proprietà intellettuale americana. Washington e molti Paesi occidentali hanno adottato una strategia netta rispetto a questo genere di investimenti, bandendo di fatto alcune compagnie, prevalentemente Huawei e Zte. L’Italia, invece, senza muoversi in un’altra direzione e ciò non è esente da rischi. A spiegarne le ragioni è stato a Formiche.net lo storico ed economista Giulio Sapelli. “Mentre altrove i colossi cinesi, ormai monopolisti sul piano delle infrastrutture di rete, vengono estromessi da gare pubbliche per privilegiare un controllo nazionale su questi asset strategici, noi stiamo colpevolmente trascurando un aspetto cruciale per la sicurezza nazionale”, ha commentato. “Ritengo inoltre”, ha aggiunto il professore, “che si stiano sottovalutando le ripercussioni, anche economiche e geopolitiche, che un eccessivo avvicinamento a Pechino, in rotta con Washington, può comportare per il nostro Paese”.

ALLARMI E INIZIATIVE

Eppure, ha ricordato Formiche.net, gli 007 italiani hanno messo più volte in guardia il governo negli scorsi anni – nel 2012 e nel 2014 – dall’avanzata della multinazionale hi-tech, che è privata (il 98,6% delle azioni, ricorda Il Sole, è dei dipendenti) ma nondimeno riceve cospicui finanziamenti da alcune delle più grandi banche governative cinesi come Bank of China e Industrial & Commercial Bank of China e ha come fondatore un ex ufficiale dell’esercito di Liberazione popolare cinese, Ren Zhengfei.
Tra coloro che a suo tempo evidenziarono i rischi di un affidamento delle reti di comunicazione nazionale a soggetti stranieri, Pechino inclusa, uno dei più attivi fu proprio il senatore Giuseppe Esposito, che auspicò l’istituzione di una task-force dedicata.
Un’iniziativa similare è stata presa in queste settimane dal vice presidente del Copasir (che nei giorni scorsi ha ascoltato, forse anche su questo tema, proprio Di Maio), che propone l’istituzione di una Commissione di inchiesta che faccia il punto sulle acquisizioni di aziende italiane da parte di imprese straniere, soprattutto cinesi.

LA STRADA DA SEGUIRE

Per Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di Strategia presso la Scuola di Direzione aziendale dell’Università Bocconi, “pur con opportuni distinguo, necessari quando sono in gioco interessi geopolitici”, la strada “da seguire da parte dell’Ue, e quindi anche dell’Italia, sul 5G come su altre fondamentali tecnologie Ict, debba tener conto di quanto applicato in Usa: investimenti privati, trasparenza e neutralità tecnologica e adeguata governance pubblica sulla sicurezza”.



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