La riunione del Gabinetto di Sicurezza su Gaza è terminata con la decisione di non intraprendere un’operazione militare. Lieberman, ministro della Difesa, e Bennet, ministro dell’Istruzione, hanno criticato Netanyahu sostenendo che tale decisione avrebbe posto come prioritaria l’intesa con Hamas rispetto alla sicurezza di Israele. Lieberman quindi si dimette: “Il cessato il fuoco è una resa a Hamas”, ha dichiarato. A Netanyahu rimangono 61 seggi alla Knesset, cioè una maggioranza risicata (120 in tutto), mentre Bennet vuole diventare ministro della Difesa. Resisterà la coalizione di destra o si andrà a nuove elezioni?
Avigdor Lieberman è diventato ministro della Difesa con proclami guerreggianti, che non ha realizzato, perché, a suo dire, è stato impossibilitato. In realtà, nonostante le sue frequenti dichiarazioni a dir poco contrarie all’accettabile linguaggio politico, Lieberman si è rivelato un uomo, politico, pragmatico. Un risultato positivo del suo mandato è sicuramente il rapporto positivo che ha instaurato con i cittadini di Otef Aza (cioè le comunità che vivono in prossimità della Striscia). Contrariamente a quanto si può pensare, l’area adiacente alla Striscia di Gaza (circa 70mila persone) comprende una popolazione prevalentemente di centro-sinistra e sinistra, con una minoranza che vota per il Likud e per Shas (il partito associato con i haredim orientali). Il loro rapporto con i governi Netanyahu non è mai stato semplice: non sopportano la strumentalizzazione del discorso sulla sicurezza al confine di Gaza per fini politici, e più che altro sono stanchi della mancanza di una chiara politica verso Hamas. Lieberman è riuscito in questi due anni a instaurare un ottimo rapporto con i rappresentanti delle varie comunità, così sostengono vari sindaci e portavoce in un’intervista a YNet.
Le sue posizioni hanno spesso causato scontri con le agenzie di sicurezza. A luglio il capo del Servizio di Sicurezza Generale (Shabak) propone di permettere il ricongiungimento familiare tra Israele e territori palestinesi, causando le ire di Lieberman. Bennet lo ha attaccato per le decisioni troppo poco di destra (così si era espresso in agosto), cui Lieberman ha risposto il mese scorso: “Il ministro dell’Istruzione parli di istruzione e non di sicurezza”. A febbraio di quest’anno è resa pubblica la decisione di Lieberman di creare una nuova batteria missilistica che sarà gestita dalla fanteria dell’Idf, altra decisione presa contrariamente all’opinione dei generali israeliani. Il giornale russo Vesti pubblica oggi un articolo di lode a Lieberman, ricordando tra i suoi successi anche la proposta di legge sulla pena di morte per i terroristi.
Il ministero della Difesa in Israele non è una carica politica semplice: in caso di successo, è il primo ministro ad esser coperto di lodi, quando c’è una crisi, è il ministro ad esser coperto di critiche. Le tensioni con Netanyahu e altri leader della coalizione hanno portato alle dimissioni del precedente ministro della Difesa, “Bogie” Ya’alon, che dopo essersi ritirato dalla vita politica si è espresso contro il premier e contro l’area populista del Likud.
Ora è il turno di Bennet, che ha sempre voluto esser ministro della Difesa. Da quando è stato creato il governo, Bennet ha parlato alla stampa quasi esclusivamente di difesa e sicurezza. Tra le critiche al leader del partito “Casa Ebraica” c’è chi sostiene che le mire pugnaci si rivolgano all’elettorato degli ex coloni di Gaza, sostenuti dal movimento dei residenti di Giudea e Samaria, ma che poco abbiano a che vedere con una visione militare che tenga conto delle necessità della popolazione di Otef Aza e degli interessi a lungo termine di Israele. Altri sostengono che Bennet non è l’unico a promettere una politica militare aggressiva, che la realtà poi mitiga per forza di cose.
Bennet mette ora Netanyahu di fronte a un ultimatum: se non avrà la Difesa, uscirà dalla coalizione e si andrà a nuove elezioni (sempre il quotidiano in lingua russa Vesti dà per certo questo scenario). Netanyahu cederà a “Casa Ebraica” per mantenere il governo? Nella formazione dell’attuale governo così è successo, proprio all’ultimo minuto: Netanyahu ha dato al partito di Bennet il ministero della Giustizia, mentre è riuscito a non cedere sulla Difesa.
L’interesse di Netanyahu è mantenere l’attuale coalizione, che avrà però un altro difficile esame la settimana prossima: la legge sul servizio militare, che impone la leva ai haredim (i cosiddetti ultra-ortodossi). Una nuova crisi con i partiti haredi potrebbe portare alla caduta del governo anche se simili conflitti sono stati superati in passato. Le tensioni che “Casa Ebraica” crea con i vari tentativi di cambiare il bilanciamento dei poteri tra ministri e supervisione dell’Avvocatura di Stato non sono sufficientemente gravi per portare a una crisi di per sé, ma si sommano all’attuale precaria situazione.
La caduta del governo porterebbe a nuove elezioni (già si parla di marzo 2019), con un futuro incerto per Netanyahu, che anche all’ombra dei successi nel campo della sicurezza (soprattutto verso l’Iran), ha un minore sostegno popolare. Vero è, però, che non c’è altro leader che sia egualmente carismatico e politicamente abile nell’attuale panorama politico israeliano, o almeno non parimenti carismatico da dettare una scelta popolare nuova in una situazione di precaria sicurezza ai confini.
In questa situazione di crisi i politici del Likud storico stanno alzando la voce, in difesa di Netanyahu e delle posizioni di centrodestra, potendo così rafforzare il partito di fronte ai nuovi leader le cui posizioni si avvicinano a “Casa Ebraica”. Dovesse Netanyahu cedere la Difesa a Bennet, sia la realtà politica sia il rafforzamento del vecchio Likud potrebbero garantire il controllo e la marginalizzazione delle voci più estremiste, almeno fino alle prossime elezioni.