Le rassicurazioni di circostanza non potevano mancare all’Eurogruppo, terminato proprio in questi minuti. Nemmeno questa volta, nemmeno dinnanzi al vento gelido che spira tra Roma e Bruxelles. Un grande freddo destinato a durare e ad evolvere in una procedura di infrazione per eccesso di disavanzo. Esattamente tutto il contrario di Maastricht. Dietro le parole del commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, l’uomo che ha sul tavolo il dossier Italia, si cela un vuoto pneumatico difficilmente colmabile. Come a dire, è quasi impossibile che Italia e Commissione europea raggiungano un accordo sulla manovra. Il tempo stavolta non è nemmeno galantuomo visto che a Bruxelles aspettano una legge di Bilancio rimaneggiata entro il prossimo 13 novembre, martedì.
“Entro il 13 novembre ci aspettiamo una risposta forte e precisa del governo italiano”, ha detto Moscovici arrivando alla riunione dei ministri delle Finanze. “Se alla fine di questo percorso, da Roma non ci saranno passi, le sanzioni possono essere applicate. Io comunque non sarò mai in favore delle sanzioni perché sarebbero un fallimento per il paese e per le regole”. Il senso è chiaro, Roma deve mettere mano alla manovra gialloverde senza ricorrere a trucchetti e deve farlo in fretta, oppure scatterà la tagliola (la procedura di infrazione può costare quasi lo 0,5% del pil, su per giù mezzo reddito di cittadinanza.
E non che il vicepresidente della commissione Valdis Dombrovskis sia stato meno esplicito. “Il patto di stabilità prevede di calcolare l’equilibrio di bilancio in base ai cicli economici e data l’attuale fase di sviluppo economico, che vede l’Ue in crescita da sei anni, è importante che l’Italia continui a ridurre il suo deficit e il suo rapporto debito/Pil, e non che aumenti di nuovo il suo disavanzo”. Insomma, il blocco europeo è compatto: riscrivere la manovra e i suoi saldi. D’altronde, la cosiddetta ragion di stato c’è.
Che figura farebbe il governo europeo se si lasciasse passare sotto il naso una manovra che mette in discussione quelle regole sulle quali poggia la stessa Unione da Maastricht ad oggi? Non sarebbe forse un segnale di debolezza verso quei Paesi che più volte sono finiti in odore di sforamento (si pensi alla crescita forsennata dei Paesi dell’est Europa)? Con ogni probabilmente sì, sarebbe troppo per Moscovici & co permettersi un caso Italia.
Il fatto è che più o meno la stessa logica viene applicata qui da noi, ma all’inverso. Della serie, l’attuale governo legastellato è frutto di un mandato popolare attraverso il quale scardinare l’attuale impostazione europea. Adeguarsi ai dettami Ue non sarebbe agli occhi di Lega e Cinque Stelle una sorta di alto tradimento? Forse sì, oltre al fatto che lo spread in questi giorni sta graziando l’Italia, rimanendo sotto i 300 punti base.
Ed è proprio questo il punto, né l’Europa né l’Italia hanno davvero un buon motivo per accordarsi. Gli uni e gli altri sono prigionieri di logiche alle quali non possono sottrarsi. E questo nonostante lo stesso ministro Giovanni Tria abbia ancora oggi parlato di un “dialogo che continuerà” nonostante “qualche disaccordo ma questo non vuol dire che non possiamo avere un dialogo costruttivo tra la Commissione Ue e l’Italia, è una cosa abituale tra i Paesi e la Commissione”. Certo, disertando al termine dell’Eurogruppo il confronto con i giornalisti, un altro segnale non certo buono.
Un’ultima nota. Poco fa i servizi Bilancio di Camera e Senato hanno diffuso i loro conti sulla manovra. Gli interventi previsti ammontano a 41,3 miliardi nel 2019 con coperture pari a 19,4 miliardi. Le risorse dunque sono meno della metà degli effetti ottenuti una volta entrate a regime le misure e dunque i denari mobilitati dalla manovra sono maggiori delle sue stesse risorse (la differenza è appunto il deficit, 21 miliardi). Questo, scrivono i tecnici del parlamento fornendo un assist al governo, “determina il carattere espansivo della manovra”. L’Europa cosa dirà?