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La sottile linea che separa verità e menzogne sul Web. Il caso di Christopher Blair

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Christopher Blair, americano, 46 anni, vive nel Maine. Difficoltà economiche e grande frustrazione politica lo convincono nel 2016 (durante la campagna per le presidenziali che si scoprirà in seguito aver registrato pesanti interferenze attribuite alla Russia) a diventare un creatore di fake news professionista. Tutto, racconta in un suo ritratto il Washington Post, inizia per scherzo. La pagina Facebook messa in piedi da Blair e da un gruppo di amici liberal che volevano prendersi gioco di quelle che consideravano idee estremiste – America’s last line of defense – è dichiaratamente satirica. Eppure la gente inizia viralmente a condividere le sue storie, prendendole per vere.

EFFETTI INCREDIBILI

Sharia in California, teorie cospirazioniste e anti-scientifiche di ogni sorta, l’ex presidente Bill Clinton diventato un serial killer o immigrati che deturpano il monte Rushmore, tutto pubblicato al ritmo di “condividi se sei indignato”. “Più siamo estremi, più la gente ci crede”, commenta. Migliaia e migliaia di americani, tanti per scherzo ma almeno altrettanti perché credono a queste parole, rendono alcune di queste notizie virali. In media otto condivisioni nel primo minuto, 160 entro 15 minuti, oltre 1000 entro la fine dell’ora. Nonostante la pagina specifichi in ogni suo punto la non veridicità dei post-satira, rileva il WaPo, i pregiudizi (i bias) e le idee del pubblico autonomamente alimentano le bugie, creando un circolo vizioso (la cosiddetta “bolla”) di menzogne e milioni di post con false notizie circolanti tra persone che la pensano quasi sempre allo stesso modo. Neanche sbagliare deliberatamente la grammatica dei testi, utilizzare parole grottesche, o ancora inventare storie quasi fantastiche o fisicamente impossibili, fa sì che il traffico sulla sua pagina diminuisca. Uno scherzo finito male, che rivela una verità ancora più oscura: non esiste apparentemente un limite oltre il quale premesse ridicole e post scherzosi non riescano a sortire l’effetto di essere prese verità innegabili o quantomeno possibili. I casi sono moltissimi, uno in particolare quello preso in considerazione dalla testata americana, quello di Shirley Chapian, una donna in pensione istruita e che aveva viaggiato molto nei suoi anni giovanili che ha visto via via cambiare e radicalizzarsi idee politiche e visione del mondo attraverso i social network.

VIVIAMO IN UNA “IDIOCRAZIA”?

Viviamo in una “Idiocrazia”, si legge (forse a ragione, si chiedono in molti) in una nota sulla scrivania di Blair, che da 3 monitor controlla traffico, “news” e reazioni, traendo vantaggio da questa “falla”. Prima fa il troll per piacere e divertimento. Poi decide di farne un lavoro. Di successo. La pagina acquisce talmente tanta popolarità da far guadagnare al proprietario circa 15mila dollari in un solo mese, oltre a “reclutare” un esercito di fedeli creduloni online. Per continuare a guadagnare senza perdere lo scopo educativo originario che si va lentamente a ridurre negli anni, Blair – che non ha più il tempo necessario per controllare da solo tutti i super-conservatori che diffondono i post della pagina – recluta 100 liberal per umiliare pubblicamente i creduloni, nonché per scovare altre pagine (queste fake per davvero) che plagiano i suoi contenuti. In breve tempo il sito si riempie ancor di più di insulti razzisti e sfoghi di rabbia che costano a centinaia di utenti l’accesso al social network per violazione delle condizioni d’uso della piattaforma. Segno di un controllo sempre maggiore e più efficace su ciò di censurabile circola sul Web, ma anche la misura di quanto quella delle bufale sia ormai una problematica sociale a tutti gli effetti. Come dimostra, nonostante tutto, il crescente numero di follower – ormai ben oltre i 200mila – di America’s last line of defense.

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