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I gilet gialli non si arrendono. E l’Eliseo trema

algeria, macron

La rabbia, lo sgomento, la paura. I “gilet gialli” hanno sconvolto la Francia. Dopo la giornata di terrore che ha messo a soqquadro Parigi e molte altre città, non si può dire che la storia sia finita. Ci si prepara al peggio. Il governo, come hanno fatto sapere il primo ministro Édouard Philippe ed il neo-ministro degli Interni, Christophe Castaner, non abbandonerà le sue politiche rigoriste, fondate sull’innalzamento dell’imposizione fiscale e sull’aumento del prezzo del carburante. Una risposta che i manifestanti si attendevano. E gli ottocentomila – ma saranno molti di più nelle prossime manifestazioni – che sono scesi in strada in forme deprecabilmente violente, dal canto loro, sconti a Macron non sono intenzionati a fargliene. Un braccio di ferro che durerà a lungo, si ipotizza. Con conseguenze politiche presumibilmente significative.

Nell’entourage macroniano, ed in particolare nel partito “En Marche”, già si additano alla pubblica opinione i “responsabili” dei disordini. La prima della lista è Marine Le Pen: suoi “infiltrati” tra i manifestanti avrebbero contribuito a fomentare gli scontri, secondo le autorità di polizia e dei politici vicini al presidente. Naturalmente non sarebbe estraneo ai fatti Jean-Luc Mélenchon, leader di “France Insoumise” che, per tutta risposta, ha scagionato la sua antagonista di destra attribuendo a non identificati elementi provocazioni ed incidenti.

Macron e Castaner hanno chiaro il quadro della situazione. Beneficiari politici della durissima contestazione non possono che essere gli oppositori. Dunque, dagli all’untore. In maniera preventiva. Nonostante i veri protagonisti dell’accerchiamento dell’Eliseo, come hanno tenuto a far sapere attraverso il web, sono cittadini normali e liberi, rappresentanti di quel ceto medio ingannato da Macron, soggetti “privilegiati” della fiscalità del “presidente dei ricchi”, mentre i “rurali” della Francia profonda, pagano l’impoverimento dell’agricoltura con i provvedimenti su gasolio e benzina oltre che con la trascurata attenzione al loro mondo bisognoso di tutela a fronte della grande concorrenza nella stessa Unione Europea.

Anger, Hanin-Beaumont, perfino La Réunion, possedimento francese d’Oltremare, e l’Alsazia, il Sud, solitamente pacifico, ovviamente Parigi hanno dichiarato guerra a Macron, per dirla senza tanti giri di parole. L’uomo che soltanto un anno e mezzo fa prometteva equità generale e maggiore considerazione per il mondo produttivo, sembra abulico di fronte alle problematiche che scuotono la società francese mai come in questo frangente frastornata di fronte alla caduta verticale del Welfare State, costosissimo senza dubbio, ma i necessari aggiustamenti non possono certo pagarli coloro che sono la spina dorsale dell’economia francese.

Avrebbe dovuto essere chiaro Macron fin dal primo momento. Ma non lo è stato. Quel che gli si rimprovera è la negligenza nel non aver messo la Francia di fronte al proprio destino, rivelando le reali intenzioni politiche. Invece quel che ha fatto balenare in campagna elettorale è stata la costruzione di un Paese protagonista, finalmente affrancato dai ricatti delle élites e sottratto agli egoismi partitici.

Ci hanno messo poco più di quindici mesi i francesi a comprendere le intenzioni del loro “presidente juppiteriano”. E sono insorti. Alla Concorde, come sempre; sugli Champs Elysées, ma anche nelle tormentate periferie, nell’appartato mondo rurale. Prima di loro si erano accorti dell’insostenibile leggerezza di Macron ben tre ministri che lo hanno lasciato solo: Nicolas Hulot (Transizione ecologica), Gérard Collomb (Interni) e Laura Flessel (Sport). Sorprende come il ministro dell’Agricoltura, Jacques Mézard, radicale di sinistra, non abbia ancora fatto sentire la sua voce a difesa del mondo che dovrebbe rappresentare e trarne le conseguenze.

È questione di giorni, si dice a Parigi, ma altri esponenti di rilevo del governo e di “En Marche” daranno qualche dispiacere a Macron.

Intanto la macchina della rabbia che ha devastato strade e negozi sabato pomeriggio non si ferma. I “gilet gialli” non hanno nessuna intenzione di accettare passivamente il silenzio sdegnato di Macron, dopo avergli chiesto un incontro che finora gli è stato negato, o le condanne di circostanza dei suoi fedelissimi. Fedelissimi? Ancora per quanto?

All’Eliseo tremano i consiglieri del presidente che non è di buonumore anche per privatissimi fatti su cui ci asteniamo dal riferire. E si trema anche nelle cancellerie europee, in particolare in quella tedesca. Insomma, un caso continentale che rivela la inadeguatezza di un signore che ha immaginato di poter governare un Paese complesso approfittando della debolezza di tutti i partiti della Quinta Repubblica. Il gioco è durato poco. E la gente, non solo quella che indossa i gilet gialli, lo ha scoperto.



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