“È giunto il momento di chiudere l’outlet Italia, dove Paesi extra-europei e non solo conducono da tempo uno shopping che impoverisce la nazione”.
A dirlo a Formiche.net è Antonio Maria Rinaldi, docente di Politica economica alla Link Campus University e allievo di Paolo Savona, che commenta così il dossier Magneti Marelli, le acquisizioni straniere e l’accelerazione dell’attuale governo sul tema del Golden power, il potere speciale che concede al Governo il diritto di veto sulle operazioni che diano luogo a una situazione eccezionale di minaccia effettiva per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti.
Professor Rinaldi, il governo M5S-Lega pare intenzionato ad accelerare sulla riforma del golden power. Perché?
Non sfugge a nessuno lo “shopping” a prezzi di saldo che molti Paesi stanno facendo in Italia, rendendolo di fatto un “outlet”. Il nostro miglior know-how rischia – come del resto in parte ha già fatto – di lasciare per sempre la Penisola. L’ultimo caso è quello della Magneti Marelli, venduta a un gruppo giapponese, ma potrei citarne molti altri. È necessario agire in tempi brevi per impedire un’ulteriore emorragia.
Il Golden power, però, si esercita in situazioni nelle quali sono a rischio la sicurezza e l’erogazione dei servizi essenziali di una nazione.
Certo, bisogna però intendersi su ciò che mette a rischio la sicurezza. A mio parere smantellare il nostro tessuto produttivo lo fa, soprattutto quando ad acquistare le nostre aziende sono compagnie e Paesi con i quali non ci sono reciprocità e possibilità di competere ad armi pari. Naturalmente è un tema complesso che implica molteplici distinguo, ma va affrontato.
Ha senso mantenere aziende strategiche in mani italiane se poi la filiera dei fornitori vede il proliferare di aziende straniere?
Assolutamente no. Credo anzi che il tema debba essere posto al centro della Golden power. Anche in questo caso gli esempi si sprecano, soprattutto se pensiamo alla componentistica che arriva a bassissimo costo da Paesi asiatici. Il che ci rende non solo più deboli economicamente, ma anche dipendenti dall’estero nel lungo periodo. Senza considerare che questo tema, quando si parla di asset strategici e sensibili, ha anche importanti ripercussioni di sicurezza. Basti pensare a telco, reti e molto altro.
Proprio il dossier Magneti Marelli, che lei ha citato, è stato al centro di un botta e risposta tra l’attuale ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio e il suo predecessore Carlo Calenda. Il primo sostiene che al provvedimento approntato dal passato esecutivo manchino ancora i regolamenti attuativi, mentre il secondo sostiene che in questi mesi il governo non abbia fatto nulla per consentire il pieno e definitivo esercizio della Golden Power. Chi ha ragione?
Non entro nel merito della querelle. Mi limito a dire che fare tutto in un batter di ciglia è impossibile. Sappiamo bene che i tempi della politica possono rivelarsi spesso più lunghi di quelli dell’economia reale. Quel che mi sembra utile rimarcare è che questo esecutivo sembra senz’altro intenzionato a imprimere il necessario cambio di rotta sul tema delle acquisizioni estere. Ad esempio trovo che sia positivo pensare a un ruolo ancora più forte della CdP su determinati dossier. Non si tratta di invocare protezionismo o sovranismo, come spesso si dice a sproposito, ma di voler tutelare il nostro interesse nazionale fuori ma anche dentro l’Europa. In quest’ultimo caso, naturalmente, vanno messi in campo ragionamenti diversi, compatibili con un’area di libero scambio come l’Ue.
A proposito di Europa, il governo gialloverde ha assunto una posizione critica rispetto al regolamento per la protezione degli investimenti “predatori” di Paesi extra-Ue proposto dalla Commissione di Bruxelles. L’esecutivo è arrivato a chiedere modifiche sostanziali al testo o addirittura un suo accantonamento. Non è in contraddizione con quanto si vorrebbe fare in Italia?
No, perché la base del testo europeo del quale si discute in queste ore è frutto di un lavoro fatto dal precedente governo. Evidentemente ci sono passaggi non condivisi, che l’attuale esecutivo fa bene a rinegoziare. E, se non ci si dovesse riuscire, si fa bene a rimandare tutto alla prossima legislatura europea. Saranno i cittadini a dire, attraverso le urne, se preferiscono l’attuale impostazione o quella che potrebbe uscire fuori dalla prossima tornata elettorale europea.
Ritrattare in questo modo un lavoro compiuto, ad ogni modo, da un governo italiano non potrebbe indebolire la credibilità del Paese?
In questi mesi e anni è risultato piuttosto chiaro a tutti – tranne a chi non vuol vedere – che altri Paesi, anche europei, non si fanno problemi a imporre il loro punto di vista su determinate questioni, finanche con rotture che hanno dell’incredibile, come quella della Francia sulla vicenda Fincantieri. Pretendere che anche il punto di vista italiano venga tenuto in considerazione mi pare dunque il primo punto di partenza per tornare ad essere una nazione competitiva e in grado di difendere i suoi asset.