Funzionari di intelligence e governo americani si sono incontrati con le controparti di Germania, Italia e Giappone, per chiedere esplicitamente di tagliare fuori la ditta cinese Huawei dal mondo delle telecomunicazione di quei tre paesi alleati. Da Washington è in corso una straordinaria campagna per cercare, attraverso opere di persuasione a diverse sfumature, di convincere gli alleati a non usare prodotti della ditta di Shenzen (e pure dell’omologa Zte) tra le forniture per le apparecchiature per servizi wireless e Internet.
Motivo: questioni di sicurezza informatica e nazionale. Secondo gli americani, certi sistemi prodotti in Cina devono essere tenuti fuori da quei paesi che ospitano basi strategiche americane (esempi: le Kelley Barracks dell’Africom a Stoccarda, le Sesta Flotta a Napoli o la base di Vicenza, la flotta del Pacifico a Yokosuka). Il Pentagono ha canali di comunicazione speciali per far passare informazioni sensibili di queste basi, ma la gran parte delle telecomunicazioni viaggia attraverso le infrastrutture locali, che in diversi casi, in quei tre paesi, sono gestiti attraverso apparecchiature cinesi che secondo le valutazioni americane potrebbero contenere backdoor messe appositamente per essere penetrate dallo spionaggio di Pechino.
Di più: secondo alcune fonti citate dal Wall Street Journal, che confermano gli incontri avuti dai funzionari Usa anche in Italia, gli Stati Uniti potrebbero pure essere disposti a concedere aiuti finanziari ai paesi che decidono di rifiutare l’utilizzo di prodotti Made in China. È lo sbocco extraterritoriale dello scontro sul terreno tecnologico tra Cina e Stati Uniti, parte sostanziale del confronto globale tra Pechino e Washington.
Gli americani hanno già adottato misure per contenere, o meglio dire bloccare, le aziende di telecomunicazioni come la Huawei all’intero del proprio territorio, e hanno già ottenuto risposte convincenti alle loro pressioni da parte dei Paesi alleati nel blocco del Five Eyes, il sistema di intelligence anglofono composto da Usa, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito.
Ad agosto il governo australiano ha vietato l’uso di apparecchiature di Huawei e Zte nelle sue reti 5G, la nuova tecnologia dati con cui dialogheranno i sistemi di intelligence artificiale e l’Internet delle cose – altri campi di battaglia tra Cina e Stati Uniti; la concentrazione sul 5G riguarda anche alcune sensibilità che la tecnologia può avere. A ottobre, le autorità britanniche hanno annunciato una revisione del mercato degli hardware delle telecomunicazioni. A settembre, l’Italia ha invece ospitato alla Camera, alla presenza del vicepremier Luigi Di Maio e altri esponenti del M5S, un importante meeting di Huawei, anche se le agenzie di intelligence italiane da tempo stanno alzando la guardia sulla ditta cinese (come spiegato su queste colonne dal’ex vicepresidente del Copasir, Giuseppe Esposito).
Secondo il WSJ, nel tentativo di limitare il vantaggio acquisito da Huawei in alcuni paesi come l’Italia, Washington sta valutando modi per aumentare i finanziamenti da parte di varie branche del governo per sovvenzionare l’acquisto e l’uso di attrezzature non cinesi: i paesi che acquistano apparecchiature di telecomunicazione fatti aziende cinesi, invece, dovrebbero non beneficiare di questi aiuti.
Il giornale di Wall Street, che ha altre informazioni su questi incontri tra funzionari americani e controparti a Roma, Berlino e Tokyo, riporta anche le reazioni – chiaramente tutto in forma anonima e non ufficiale. I tedeschi avrebbero mostrato interesse al punto da aumentare le proprie diffidenze verso Huawei; i giapponesi dicono di condividere completamente con gli Stati Uniti che riguarda certe informazioni di intelligence; gli italiani avrebbero mostrato più perplessità, legata a ragioni commerciali.
Il pressing americano è per certi versi scontato – la risposta italiana, per quel che si sa, pure: Huawei rappresenta il 20 per cento del mercato totale delle apparecchiature per le telecomunicazioni, Zte l’11, in mezzo Nokia con il 13 e Ericsson con un altro 11; la ditta ha un potere commerciale enorme, e ha già penetrato abbondantemente il sistema infrastrutturale italiano. Tuttavia, fonti di uno dei più importanti operatori del settore sostengono che con investimenti questa situazione può anche essere invertita, ossia sposano la linea americana.