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Ilva di Taranto, la sfida di Arcelor Mittal, raccolta anche dalle imprese locali

ilva di maio istat

Dal 1° novembre Arcelor Mittal Italia  ha assunto a pieno titolo la guida del Gruppo Ilva e del grande stabilimento di Taranto, mentre sono stati assunti per distacco dall’amministrazione straordinaria gli 8.200 addetti che vi lavorano – da inquadrarsi poi dal 1° gennaio 2019 nei libri lavoro della società – e ieri Matthieu Jehl, vicepresidente e amministratore delegato della società ha presentato nel capoluogo ionico il piano industriale e quello ambientale con l’obiettivo di fare dell’impianto tarantino una fabbrica competitiva, moderna, sicura, profittevole ed ecosostenibile. Su tali obiettivi il manager ha insistito molto durante la sua esposizione, richiamando in particolare la necessità che il gruppo Arcelor, essendo quotato in Borsa – ma non in Italia, o almeno non ancora – coltivi con determinazione l’aspetto reputazionale, fondato su una gestione trasparente e aperta a rapporti di ‘buon vicinato’ (testuale) con il territorio di insediamento.

Punti chiave del piano ambientale sono: la riduzione delle emissioni diffuse, come la copertura del parco minerali e i filtri degli impianti di agglomerazione con un investimento di 428 milioni; il revamp delle cokerie con l’impiego di 290 milioni, le bonifiche (272 milioni) il trattamento delle acque piovane e di processo (167 milioni), l’upgrade del piano di prevenzione incendi (40 milioni).

I principali interventi del piano industriale invece prevedono il rifacimento dell’Altoforno n.5, uno dei maggiori d’Europa, e il nuovo contenitore Bof dell’acciaieria con un investimento di 260 milioni di euro, l’ammodernamento meccanico e l’automatizzazione degli impianti di finitura (250 milioni), i cilindri (120 milioni), le manutenzioni di Hsm, laminatoio, ricottura e Crm (100 milioni), l’allargamento e l’aggiornamento di Cc4 (60 milioni), la centrale elettrica (60 milioni), l’installazione e sostituzione caldaie per Afo1, Afo2 e Afo4 (55 milioni), il ripristino dei refrattari della suola dell’Afo1 (45 milioni).

Il rifacimento dell’Afo5, previsto utilizzando la tecnologia tradizionale a carbone, sembrerebbe chiudere la strada all’ipotesi di decarbonizzazione fortemente voluta dal governatore della Regione Puglia Michele Emiliano.

Ora, se quelli appena citati sono gli interventi previsti nei due piani (l’ambientale e l’industriale) sarà interessante verificare in che misura saranno impegnate le aziende dell’indotto locale, e se saranno affiancate da imprese provenienti da altri contesti siderurgici europei in cui è presente il Gruppo Arcelor. Certo, considerando che in altre aree europee stabilimenti simili per capacità produttive a quello di Taranto non sono esistenti, l’avervi lavorato per anni dovrebbe essere considerato titolo di merito ed auspicabilmente anche di preferenza nell’assegnazione dei lavori per le aziende locali, che dovranno però operare esclusivamente in logiche di mercato, senza ritenere (o pretendere) di dover continuare a lavorare nella fabbrica solo perché tarantine.

Ma fra quelle imprese già alcune stanno arricchendo ormai da tempo i loro organici, assumendo ingegneri e tecnici esperti per dotarsi o rafforzare i loro uffici tecnici in modo tale da potersi qualificare nei confronti del nuovo committente come società di ingegneria industriale ed impiantistica e non solo come manutentori poveri di qualifiche avanzate.

Insomma, la sfida costituita dalla presenza nel sito ionico del più grande produttore di acciaio al mondo è raccolta dall’imprenditoria locale più avvertita che, peraltro, già da tempo ha avviato con successo strategie di diversificazione di committenti e di mercati.

Resta da valutare ora il rapporto che si instaurerà fra la nuova proprietà della megafabbrica con la città e i suoi stakeholder. Ma su questo tema molto complesso e delicato potremmo ritornare in altra occasione.

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