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Usa fuori dall’accordo nucleare. Mike Pompeo spiega perché

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Il dipartimento di Stato di Mike Pompeo segue anche un incarico speciale: spiega ai cittadini americani, attraverso pubblicazioni “factsheet”, schede informative, i più grossi dossier su cui l’amministrazione Trump è impegnata. Per esempio, la questione dell’Inf, acronimo globale dell’Intermediate-range Nuclear Force (Treaty), l’accordo chiuso tra Reagan e Gorbaciov sulle forze nucleari a medio raggio, da cui il presidente Donald Trump ha annunciato di voler ritirare gli Stati Uniti qualche settimana fa.

L’argomento delicatissimo riguarda le armi atomiche, la dimensione militare strategica con cui una potenza crea deterrenza (e dunque muove anche la propria politica estera), e collega i suoi risvolti nell’insieme delle delicatissime relazioni tra Washington e Mosca (su queste colonne, l’analista dello IAI Nona Mikhelidze aveva disegnato tre possibili scenari come conseguenza). Rapporti che, nonostante l’inclinazione caratteriale personale di Trump per il suo omologo Vladimir Putin, scorrono in acque burrascose (forse non è azzardato definirli ai minimi dai tempi della Guerra Fredda).

È la dimensione della faccenda – l’evocazione di uno spettro come la guerra atomica, la più drammatica delle narrazioni che avvolge le relazioni internazionali – a richiedere dunque spiegazioni e schede illustrative: Foggy Bottom cerca di provvedere. Nel sito del dipartimento diretto da Pompeo si parte con lo spiegare cos’è questo trattato, un accordo che “richiedeva la distruzione di missili balistici e da crociera [… sovietici e statunitensi] con una capacità di portata compresa tra 500 e 5.500 chilometri e relativi lanciatori, strutture di supporto e attrezzature, entro tre anni dall’entrata in vigore del trattato nel 1988”.

All’epoca della costruzione dei commi del trattato, l’Inf era il più severo e rigoroso accordo nella storia del controllo degli armamenti, ed era pensato per arrivare rapidamente a un risultato, ma – continua nella spiegazione la scheda informativa del dipartimento di Stato, rilanciata in questi anche dalle ambasciate americane in giro per il mondo (per esempio in Italia) – già dal 2014 gli Stati Uniti hanno segnalato le violazioni russe dei termini dell’intesa.

L’Inf era previsto con durate definitiva, non era un congelamento ma uno smantellamento di certi armamenti: Washington ha successivamente denunciato violazioni russe nel 2015 , 2016 , 2017 e 2018. Secondo le informazioni americane, la Russia ha cercato di nascondere la natura di un programma missilistico, il Sssc-8, “offuscando e mentendo sui test”.

Dal 2013, spiega Foggy Bottom, gli Stati Uniti stanno cercando di persuadere la Russia sulle sua attività: hanno mostrato prove concrete del programma Sssc-8 durante summit bilaterali avuti dai rispettivi rappresentati di vario grado, e – aggiunge il braccio del governo americano che cura le relazioni internazionali – nel 2017 l’amministrazione Trump “ha raddoppiato gli sforzi degli Stati Uniti per riportare la Russia [sul solco della] conformità, con una strategia integrata di misure diplomatiche, economiche e militari”.

Oltre 30 incontri tenuti da funzionari russi di alto livello, cinque riunioni specifiche, due con la Commissione speciale di verifica (Svc), tre riunioni bilaterali con esperti tecnici: è lungo l’elenco dei contatti indicato da Washington, che dà la sua spiegazione del perché l’accordo è arrivato alla fase di rottura.

Non è nuovo questo ruolo del dipartimento di Stato, ancora più necessario per Trump per avvicinare decisioni importanti che escono dal solco storico delle mosse americane ai suoi cittadini (ed elettori). E anche per spiegare il perché Washington ha intrapreso una linea durissima con Mosca, nonostante gli annunci trumpiani durante la campagna elettorale: una linea che potrebbe portare gli americani ad alzare ulteriori sanzioni in grado di strangolare la già malmessa economia russa e creare ancora più distanze.

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