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Distrazione di massa. Gli attacchi di M5S alla stampa spiegati da Panarari

Panarari

La libertà di stampa “ha grande valore”, “soprattutto leggere le cose che non si condividono, che aiutano a riflettere”. Parola di Sergio Mattarella, Capo dello Stato, che ha parlato durante un incontro al Quirinale con alcune scolaresche. Non sono parole casuali, quelle del Presidente della Repubblica, se si tiene conto dell’attacco alla stampa arrivato da diversi esponenti di spicco del Movimento 5 Stelle – Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista – dopo l’assoluzione in primo grado di Virginia Raggi. I giornalisti sarebbero “infimi sciacalli” (secondo il vicepremier Di Maio) e “puttane” (secondo Di Battista), asserviti al potere e per questo nemici da combattere.

Secondo il professore di comunicazione politica ed esperto di tecniche comunicative Massimiliano Panarari, quello dei 5 Stelle è da una parte un metodo diversivo per deviare l’attenzione del pubblico da altri temi scottanti – Tav, manifestazione di Torino, manovra e scontri interni al governo – ma dall’altra è la dimostrazione dell’anima “monista” del Movimento 5 Stelle: “L’idea della disintermediazione – spiega il professore in una conversazione con Formiche.net – prevede il rapporto diretto tra il leader e la folla, il leader e il corpo elettorale. Emerge quindi una dimensione totalizzante e ‘totalitaria’ per cui la critica diventa un attacco all’unità politica, che è anche un’unità mistica, tra il leader e il popolo”.

Professore, in questi ultimi giorni c’è stato un forte attacco alla libertà di stampa: come legge questi episodi da parte di uno dei partiti attualmente al governo?

Io leggerei due ambiti principali: uno è un ambito contingente che riguarda la consueta strategia diversivo-comunicativa del Movimento 5 Stelle, ovvero quando tutta una serie di nodi, che naturalmente sono sempre più frequenti, riguardanti le policies o le fibrillazioni interne al governo si aggrovigliano ed emergono, appare costante il tentativo di produrre un altro oggetto comunicativo in virtù del quale l’attenzione generale viene sostanzialmente deviata.

Distogliere l’attenzione sui temi correnti, insomma?

In questo momento stanno tutti parlando di questa sparata, di questa intemerata, ci sono però una serie di altri elementi molto rilevanti che vanno dalla questione Tav dopo la piazza di Torino al tema della manovra di bilancio alla questione della politica internazionale – giusto un flash, c’è stato l’incontro di Toninelli con il suo omologo – ci sono insomma questioni rilevanti ma complesse, mentre la sparata contro i giornalisti attrae l’attenzione. C’è un classico della strategia comunicativa di M5S che è appunto la diversione.

Il secondo elemento?

L’altro elemento, che è strutturale, riguarda un’anima profonda del Movimento 5 Stelle, un’anima ideologico-filosofica, in questo caso una risposta immediata alle critiche. L’elemento filosofico strutturale riguarda la disintermediazione come grande componente ideologica del Movimento. La disintermediazione è a 390-400 gradi, potremmo dire come la ministra Lezzi (ride), a spettro totale, quindi investe anche il tema della relazione tra la politica e gli elettori, i cittadini elettori o i followers che utilizzano e frequentano la rete. Naturalmente in questa visione della disintermediazione la rete è quella che dovrebbe – e queste sono dichiarazioni di alcuni esponenti 5 Stelle – soppiantare completamente il giornalismo. Questo dal punto di vista ideologico. Dal punto di vista concreto, assistiamo a un’ennesima pagina dello scontro tra la politica e i giornalisti. Non è una novità, nel senso che il fastidio e le repliche sempre più forti e più rilevanti dei politici al giornalismo e alla stampa sono cresciute esponenzialmente nel corso della Seconda Repubblica ma in questo caso, se volessimo utilizzare la terminologia grillina, di un ulteriore cambiamento – che non avviene dal punto di vista costituzionale ma come profondo cambiamento del discorso pubblico e delle relazioni tra i sistemi dell’arena pubblica e collettiva – noi troviamo un mutamento.

Cosa intende?

Voglio dire che mai Silvio Berlusconi o Matteo Renzi si sarebbero sognati di mettere in discussione la legittimità della critica. Invece quello che emerge ora è questa visione che affonda le radici nella filosofia o ideologia del Movimento 5 Stelle, che effettivamente è post-ideologica rispetto a destra e sinistra, ma ha una sua ideologia evidente.

Ci spieghi meglio.

L’ideologia del Movimento 5 Stelle si rispecchia in pieno, con alcuni elementi deteriori, con il postmodernismo. In questo caso l’idea della disintermediazione prevede, e questo colloca M5S all’interno del campo del neopopulismo, il rapporto diretto tra il leader e la folla, il leader e il corpo elettorale. Significa che emerge una dimensione totalizzante e “totalitaria” per cui la critica diventa un attacco all’unità politica – che è anche un’unità mistica, tra il leader e il popolo. Il Movimento 5 Stelle è un’espressione evidente di comando monistico e di concezione monistica della politica. Tutte le terminologie e i richiami alla rivoluzione francese, alcuni di questi sono strumentali, altri sono sbagliati, altri sono malintesi, ma c’è un concetto di fondo, richiamano il concetto di monismo, cioè della irriducibile unità tra il rappresentante e il rappresentato. Una delle ragioni, infatti, per la quale il Movimento 5 Stelle vorrebbe il vincolo di mandato, o i rappresentanti – ossia gli eletti del M5S – sono i rappresentanti della volontà generale della nazione, per dirla con un concetto giacobino, e quindi non possono che essere i portavoce del popolo. In tutto questo qualsiasi elemento di critica va a interrompere questa armoniosa e diretta relazione tra il leader e il suo popolo, che viene presentata come democrazia diretta. Del resto la stampa è un fondamentale contropotere del concetto di democrazia liberal-rappresentativa, quello che nasce nella triade tra illuminismo, giornalismo liberalismo e che ha una classe sociale di riferimento nella borghesia.

Quella criticata da Beppe Grillo nelle scorse ore sul suo sito…

Esatto. La sparata delle ore scorse di Beppe Grillo sulla borghesia sta sostanzialmente nello stesso campo sottoculturale. Poi c’è anche una strategia diversiva, un attacco alla piazza di Torino, ma il riferimento non è casuale. Mettendo insieme i tasselli di questo vero e proprio mosaico postmoderno che è il Movimento 5 Stelle, tutto torna. I tasselli vengono letti in maniera piuttosto chiara.

Attacco ai giornalisti e diversione dell’agenda informativa. A che scopo?

L’attacco ai giornalisti e questa costante ridefinizione dell’agenda informativa e comunicativa fanno paio con l’enorme fastidio nei confronti della stampa che M5S continua a descrivere come nemica. La creazione del nemico è essenziale per il populismo, per rinsaldare le fila dei propri sostenitori in particolare nei momenti particolarmente critici. Allora in questo caso i giornalisti sono ideali dal punto di vista della costruzione del nemico. Hanno delle caratteristiche che per il Movimento 5 Stelle riassumono una serie di caratteri considerati, dai militanti, negativi, e per questo sono perfetti in questo tipo di strategia diversiva.

Ci sono similitudini con la strategia di Donald Trump?

Assolutamente sì, è il neopopulismo, anche se il Movimento 5 Stelle è un unicum. Il trumpismo è più assimilabile al core business e al nucleo fondante della Lega, però M5S si può certamente collocare in questo neopopulismo mainstream trumpista, con delle caratteristiche specifiche.

Sia Lega sia Movimento 5 Stelle fanno della creazione di un nemico esterno la loro principale strategia comunicativa, ma dalla Lega non è amai arrivato un attacco diretto alla stampa, mentre da M5S sì. Che rischio c’è?

La Lega si colloca, rispetto ad una più strutturata dicotomia delle democrazie rappresentative, cioè quella sinistra-destra, all’interno di un galateo politico che prevede che si critichi molto duramente la stampa ma non si possa metterne in discussione la legittimità. Naturalmente l’esternalità e l’effetto collaterale può essere quello del Movimento 5 Stelle che fa il gioco sporco, ma M5S si carica sulle proprie spalle, volutamente l’attacco frontale rispetto alla libertà d’espressione. Nella critica della stampa del Movimento c’è una coerenza, una delle poche, rispetto alla propria storia, che è la storia di un movimento che si presenta come sovversivo, antisistemico e identifica la gran parte dei ruoli professionali della vita pubblica italiana, quella che loro chiamano sciaguratamente élite, con un pezzo del sistema da mandare gambe all’aria, da rimuovere. In questo stanno facendo quello che la loro anima radicale, la loro autopresentazione radicale che gli ha portato tanti voti, prevede. Tutto questo, può costruire uno scenario del quale poi beneficiano anche altre forze, altri attori politici, come la Lega.

Si parla spesso di due anime del Movimento, una più istituzionale e governista e una più movimentista e vicina alla sinistra. Pensa sia ancora così?

Su questo uscirà un libro tra qualche giorno, in cui dico sostanzialmente che il Movimento 5 Stelle non è di sinistra. Nella costituzione di questo vero blob e di questo partito-movimento intermittente che è M5S, che riscrive le proprie proposte di policies in relazione ai sondaggi elettorali per un verso e alla contingenza politica per l’altro, non si può parlare di una dimensione davvero di sinistra perché per sua stessa autodichiarazione il Movimento si pone al di là della destra e della sinistra. Parlare di un’anima di sinistra, secondo me, non è esattamente congruente. M5S è post-ideologico dal punto di vista assiale della dicotomia destra-sinistra e non prevede l’esistenza di correnti organizzate. Dal momento che non ci possono essere correnti, nel nome di quel principio monistico di cui parlavo prima, che l’unità del potere è fondamentale ora che sono arrivati al governo, che non può essere infranta, e al tempo stesso è l’unità della leadership che si identifica totalmente col popolo della rete nella loro narrazione, non si può parlare di un Movimento di sinistra. Quello che c’è, è la presenza all’interno del Movimento di alcune persone che hanno ruoli direttivi e dirigenti, che hanno una storia personale di frequentazione con alcuni ambienti della molto plurale sinistra italiana, e in particolare la sinistra radicale, peraltro non istituzionale, ma vicina ad aree di base, ai centri sociali come nel caso di Roberto Fico.

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