La Russia è ben consapevole delle difficoltà economiche in cui versa. E, nonostante i proclami, non è già in grado di investire in ricerca e sviluppo quanto fanno due vere potenze come Stati Uniti e Cina. Tuttavia, ciò non vuol dire che Mosca non potrà dire la sua in campi innovativi, come l’intelligenza artificiale. Ma dovrà scegliere dove convogliare le risorse e, presumibilmente, le investirà (e in parte lo sta già facendo) per creare armi, potenziate dall’IA, in grado di consentirle di avere nel arsenale strumenti meno costosi ma non per questo meno pericolosi, come quelli utili alla guerra asimmetrica in corso.
UN DIVARIO INCOLMABILE
La Russia rappresenta oggi poco meno del 2% del Pil mondiale (poca roba se paragonato al 24% di Washington e al 15% di Pechino). E, nonostante la grande enfasi riposta sull’IA dal presidente Vladimir Putin – spiega in un report Alina Polyakova, già all’Atlantic Council e oggi fellow di Brooking Institutions – oggi il governo russo, che rispetto agli altri due Paesi non ha ancora rilasciato una strategia nazionale sull’artificial intelligence, investirà approssimativamente su questa tecnologia 12,5 milioni di dollari l’anno. Anche questi rappresentano “briciole” se confrontati ai 150 miliardi programmati dalla Cina fino al 2030, o ai 74 miliardi di biglietti verdi che ogni anno vengono spesi dal Pentagono in R&S non classificata.
QUALI INVESTIMENTI?
Questi numeri, uniti ad altre tendenze come quelle demografiche, segnalano – secondo la Polyakova – che nella corsa all’IA Mosca non sarà in grado di eguagliare la Cina sugli investimenti governativi o di competere con gli Stati Uniti per l’innovazione del settore privato.
Cosciente di ciò, la Russia deciderà probabilmente di investire strategicamente in due filoni specifici: selezionare le tecnologie militari e di difesa convenzionali in cui il Cremlino crede di poter ancora vantare un vantaggio comparativo sull’Occidente; e una guerra asimmetrica di alto impatto e a basso costo per correggere lo squilibrio tra Russia e Occidente nel dominio convenzionale. Ed è qui che entrano in gioco nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale.
UN MOLTIPLICATORE DI DISINFORMAZIONE (E CYBER ATTACCHI)
L’IA, spiega la docente e ricercatrice esperta di Eurasia, “ha il potenziale per iper-potenziare l’uso della disinformazione” da parte della Russia. Il potenziale di queste applicazioni resta tutto da scoprire (e verificare). Tuttavia la Polyakova evidenzia come strumenti non convenzionali – cyber attacchi, fake news e altro – siano diventati un elemento centrale della strategia russa verso l’Occidente, nonché il terreno sul quale, tradizionalmente ma anche in tempi recenti, Mosca ha colto i suoi risultati migliori (le elezioni americane del 2016, ma non solo, lo dimostrerebbero).
A questo andrebbe aggiunto che a differenza dello spazio militare convenzionale, gli Stati Uniti e l’Europa sarebbero secondo la studiosa mal equipaggiati per rispondere alla guerra asimmetrica “spinta” dall’IA (in gergo si utilizza l’acronimo ADAW, ovvero AI-driven asymmetric warfare) nello spazio informativo.
ALLA BASE DELLA STRATEGIA RUSSA
Alla base di questa scelta di Mosca, rimarca la studiosa, c’è una doppia consapevolezza: riconoscere che strumenti commerciali già pronti e piattaforme digitali possono essere facilmente armati; e che la guerra dell’informazione digitale è economicamente efficace e di grande impatto. Potenziare queste armi attraverso l’IA è un passaggio successivo e quasi “naturale”, ma potrebbe offrire alla Russia un ulteriore vantaggio comparativo.
Alina Polyakova ripercorre alcuni episodi già noti, ma significativi, tesi a evidenziare come un basso investimento in campo digitale possa produrre grossi effetti concreti. Indagini statunitensi (come quella sul Russiagate condotta dal procuratore Robert Mueller) e indipendenti, spiega l’esperta, hanno calcolato che, come parte dello sforzo per influenzare le elezioni del 2016, il Cremlino abbia acquistato annunci su Facebook (costo stimato in 100mila dollari per raggiungere 125 milioni di americani) e Google (prezzo approssimativo 4mila e 700 euro), creato circa 36mila account bot su Twitter gestiti dall’ormai celebre “fabbrica” dei troll IRA di San Pietroburgo (costo stimato in 240mila dollari in due anni), operazioni di intelligence effettuate da due agenti russi nel 2014 (calcolate in 50mila dollari, e produzione di contenuti fuorvianti o divisivi (foto, meme, eccetera), più i costi relativi agli attacchi informatici al Comitato nazionale democratico e alla campagna di Hillary Clinton. In sintesi, sottolinea l’esperta, il costo totale noto dell’operazione di influenza di più alto profilo contro gli Stati Uniti ammonterebbe probabilmente a circa un milione di dollari. Un investimento molto basso considerato il risultato ottenuto.
TRE NUOVI VETTORI DI MINACCE
Da allora, sostiene la Polyakova, questi e altri strumenti si sono evoluti e presentano nuove opportunità per operazioni ADAW molto più dannose e sempre più difficili da attribuire.
In particolare, evidenzia, sono tre i vettori di minacce richiedono un’attenzione immediata. Primo, i cosiddetti “deep fakes”, ovvero la manipolazione di audio e video abilitata dell’IA , già disponibile attraverso app facili da usare, ulteriormente ampliata dalla diffusione su sistemi di messaggistica crittografata che ne rendono difficile l’individuazione da parte di altri algoritmi. Secondo, i progressi nell’elaborazione affettiva e nell’elaborazione del linguaggio naturale renderanno più facile manipolare le emozioni umane e estrarre informazioni sensibili da social network e altre piattaforme senza mai hackerare un account di posta elettronica. Terzo, questi contenuti emotivamente incisivi saranno in grado di raggiungere il pubblico previsto con un alto grado di accuratezza a causa dei progressi nelle reti di distribuzione dei contenuti, che renderanno sempre più facile condurre una “propaganda di precisione”.
LA STRATEGIA POSSIBILE
A questo punto la domanda sorge spontanea. Quali mosse potranno essere realizzate per limitare o rispondere a queste minacce? Secondo Alina Polyakova l’Occidente dovrebbe concentrarsi sulla progettazione di una precisa e moderna strategia di deterrenza per la guerra non convenzionale, basata: sul porre rimedio alle asimmetrie informative tra i responsabili politici e l’industria tecnologica; sull’informare pubblicamente e a livello governativo i Paesi più aggressivi delle conseguenze reali delle loro azioni (una strategia di deterrenza che andrebbe tarata di volta in volta a seconda della nazione interessata, includendo un grande sforzo occidentale in termini di competenze e formazione di esperti); e sul coinvolgimento di attori privati e del mondo della ricerca che valutino le conseguenze a breve e lungo termine delle tecnologie emergenti dell’IA per la politica estera, la sicurezza nazionale e la concorrenza geopolitica, e aiutino così la politica a elaborare un pensiero strategico e a tenere il passo con i progressi tecnologici, altrimenti troppo veloci.