Sarà affidato all’attuale presidente ad interim, il sudcoreano Kim Jong-yang il ruolo di nuovo direttore dell’Interpol fino al 2020. Eletto a Dubai, durante la riunione dei 194 stati membri, andrà a sostituire Meng Hongwei, cinese, che da settembre sembrava essere scomparso – poi si è scoperto che è stato riportato forzatamente in patria e trattenuto (il governo cinese lo accusa di corruzione, ma ci sono indiscrezioni secondo cui l’incarcerazione è parte dell’enorme riassetto interno del potere).
Kim Jong-yang ha battuto al rush finale il russo Alexander Prokopchuk: fidato del Cremlino, veterano del ministero degli Interni russo, dato per favorito, ha trovato l’opposizione degli Stati Uniti – a cui ha fatto sponda il Regno Unito e altre nazioni europee. Washington ha sollevato preoccupazioni che Prokopchuk avrebbe poi potuto abusare del potere dell’agenzia per dare la caccia ai tanti oppositori di Vladimir Putin in giro per il mondo (un gruppo di senatori americani ha firmato una lettera in cui definiva l’incarico al russo “simile a mettere una volpe a capo del pollaio” e per questo chiedeva al proprio governo di opporsi).
C’è stata una campagna per screditarlo, dice Mosca, però già mentre Prokopchuk era il capo dell’ufficio di Mosca dell’Interpol, è stato accusato di abusare del cosiddetto sistema “Red Notice” – i mandati di arresto internazionali emessi dall’agenzia – per colpire i critici del Cremlino.
L’Interpol, nell’occasione della nomina del suo capo, è diventata un territorio in cui le questioni che animano la politica internazionale sono venute a galla. Prima la Cina ha mostrato il suo volto scuro, quello con cui punisce senza troppi step processuali coloro che sono considerati nemici dello stato (siano semplici dissidenti, funzionari corrotti, fino al capo della polizia internazionale). Poi lo scontro Russia-Usa, arrivato sul campo del rispetto dei diritti, ma mosso anche dal clima di tensione tra i due Paesi.
Infine, anche la nomina del sudcoreano è un altro elemento interessante: mentre i delegati dei vari paesi erano in riunione negli Emirati Arabi, a Washington funzionari di alto livello di Stati Uniti e Corea del Sud si incontravano per discutere del dossier nordcoreano. L’incarico a Kim Jong-yang conferma per molti aspetti che c’è allineamento tra i due paesi alleati nelle questioni di fondo (l’Interpol come la denuclearizzazione di Pyongyang), nonostante un rapporto non proprio amichevole tra i rispettivi presidenti.
Le preoccupazioni attorno alla trasparenza e alla gestione dell’Interpol sono state avanzate diverse volte in questi ultimi anni, perché, secondo le critiche, i sistemi di cattura internazionale alzati dall’agenzia, sono talvolta usati per fini politici (il caso di Meng e l’eventuale incarico a Prokpchuk si inseriscono in questo quadro). I mandati di accusa sono aumentati in modo quasi esponenziale negli ultimi anni: ad aprile l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha parlato apertamente di questa dimensione ambigua dell’agenzia, che dal 1923 mette sì a sistema tutte le polizie dei membri, ma è diventata anche un mezzo per “perseguire obiettivi politici”.
Anche gli Stati Uniti hanno spesso contestato la politicizzazione dell’organizzazione, specialmente attaccando la Russia, che tra l’altro fa parte della commissione a cui appellarsi per bloccare i red notice. Il caso più emblematico che coinvolge Mosca è quello del finanziere americano Bill Browder (qui un bel riassunto della vicenda fatto dal sito russo Meduza, ndr), che dal 2012 a guidato un campagna molto dura contro il sistema politico russo che portò il Congresso americano alla legge che sanziona le violazione sui diritti nota come Magnitsky Act. A maggio Browder è stato arrestato in Spagna, su un mandato Interpol avanzato dalla Russia, con l’accusa di fronde fiscale: poi è stato rapidamente scarcerato, ma lui sostiene che il suo arresto è dovuto al ruolo di oppositore del Cremlino che ricopre da anni e che il suo caso è il più emblematico per spiegare come in certe situazioni l’Interpol lavori male.