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Il governo rispolvera le privatizzazioni. Ma ai mercati non basta

Barra dritta e niente ripensamenti. Se l’Europa vuole lo scontro con l’Italia, o viceversa, poco importa, scontro sia. Le previsioni non sono state smentite, il governo di Matteo Salvini e Luigi Di Maio non ha cambiato di una virgola la sostanza della manovra. Semmai vi ha inserito alcuni cuscinetti, tanto per addolcire l’impatto sulla Commissione. Per esempio le privatizzazioni, totem rispolverato ciclicamente da quasi tutti i governi e una clausola di salvaguardia sulla spesa pubblica.

Poco dopo le 23 di ieri sera, quello che era ben oltre un timore è diventato certezza. Dunque, stesso deficit e stessa crescita e quota 100 assicurata, poi se qualche stima verrà disattesa per difetto (deficit) o eccesso (crescita) tanto meglio. “Il governo conferma l’impegno a mantenere i saldi di finanza pubblica entro la misura indicata nel documento di programmazione, rispettando le autorizzazioni parlamentari. In particolare, il livello del deficit al 2,4% del pil per il 2019 sarà considerato un limite invalicabile”, ha sentenziato il ministro dell’Economia, Giovanni Tria.

“Pur introducendo misure di sostegno innovative e un’attenuazione ai vincoli per il pensionamento, l’espansione fiscale decisa dal governo resta contenuta alla misura strettamente necessaria a contrastare il rallentamento del ciclo economico. Il governo ritiene che le ragioni dell’impostazione della manovra mantengano tutta la loro validità anche dopo aver attentamente valutato i rilievi Ue”. Insomma, non è che c’è troppo da ragionarci su. La sfida è lanciata, la palla passa nuovamente nelle mani dell’Europa che ora, a meno che la Commissione non sia travolta da un attacco di improvvisa benevolenza, aprirà la procedura di infrazione.

E questo nonostante le pezze messe dall’esecutivo nella manovra-bis, quella insomma più morbida e a prova di Ue, che poi non lo è. “Per accelerare la riduzione del rapporto debito/pil e preservarlo dal rischio di eventuali shock macroeconomici, il governo ha deciso di innalzare all’1% del Pil per il 2019 l’obiettivo di privatizzazione del patrimonio pubblico. Gli incassi costituiscono un margine di sicurezza” e consentiranno di raggiungere una discesa del rapporto debito-pil “più marcata e pari a 0,3 punti quest’anno, 1,7 nel 2019, 1,9 nel 2020, 1,4 nel 2021 portando il rapporto dal 131,2% del 2017 al 126,0 del 2021″.

Stesso approccio anche sulla spesa visto che Tria ha inserito nella legge di Bilancio un cuscinetto di salvaguardia, che previene un deterioramento dei saldi di bilancio anche nel caso in cui gli obiettivi di crescita non siano pienamente conseguiti”. “La normativa nazionale prevede una serie di presidi che obbligano il governo a riferire tempestivamente alle Camere qualora si determinino scostamenti rispetto” agli obiettivi di deficit e indebitamento netto.

Ora, c’è una conclusione a tutto questo. Se la rottura con Bruxelles appare, almeno per il momento, insanabile, il problema vero è nei mercati. Perché se è vero che le ultime aste di titoli sono andate piuttosto bene (qui l’approfondimento sul tema) con una domanda di debito che ha sostanzialmente tenuto, non è detto che sia sempre così. Anzi. Questa mattina lo spread è risalito pericolosamente a quota 315 punti base, ai massimi da 4 settimane mentre la Borsa viaggia in rosso, intorno al -1,7%. Europa e mercati sono due cose diverse perché Bruxelles non sottoscrive il nostro debito (il Qe è agli sgoccioli), è bene tenerne conto.

 



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