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La diagnosi dell’Ue è ineccepibile, ma parziale. Polillo spiega perché

Le ultime previsioni della Commissione europea spiegano le ragioni del suo malumore nei confronti dell’Italia. Il referto riflette l’immagine di un malato che, forse, non vuol guarire, e che si è ormai abbandonato a cure omeopatiche, che lasciano il tempo che trovano. E di conseguenza non fanno altro che aggravare la crisi. I sintomi sono allarmanti: un Pil che cresce molto meno di quanto previsto dal governo italiano. Con un tasso di sviluppo che nel 2018 si fermerà all’1,1 per cento, per poi salire di un piccolo gradino: 1,2 per cento, nel 2019 e 1,3 per cento nel 2020. Un’Italia destinata a rimanere al palo, mentre tutti gli altri Paesi registrano un tasso di crescita maggiore nell’arco di tutto il prossimo biennio. Se le speranze del governo gialloverde erano quelle di compensare il maggior deficit di bilancio con un’accelerazione della crescita, non sembra che il budino sia riuscito.

Si spiegano allora le reazioni del ministro dell’economia Giovanni Tria. Nel comunicato diffuso dal Mef, si parla di “un’analisi non attenta e parziale del Documento Programmatico di Bilancio (DPB), della legge di bilancio e dell’andamento dei conti pubblici italiani, nonostante le informazioni e i chiarimenti forniti”. Per giungere poi alla conclusione che si tratta di una “défaillance tecnica della Commissione, che non influenzerà la continuazione del dialogo costruttivo con la Commissione stessa in cui è impegnato il governo italiano”. Non proprio un atteggiamento distensivo, che riflette ed amplifica una polemica che si rincorre ormai da diverse settimane.

Le nuove stime europee non fanno sconti. Il deficit di bilancio, che veniva ipotizzato al 2,4 per cento nel 2019, salirà invece al 2,9 per cento per poi sfondare, se non interverranno manovre correttive, la fatidica soglia del 3 per cento (previsione 3,1 per cento nel 2020). Ancora peggiori i risultati relativi al deficit corretto per l’andamento del ciclo che sarà pari all’1,8 per cento a fine anno, per poi salire al 3 per cento nel 2019 ed al 3,5 per cento l’anno successivo. Si tratta, com’è noto, di un “prodotto di laboratorio” di qualcosa che non esiste in natura, ma è solo il frutto di calcoli esoterici, la cui metodologia è stata più volte contestata. Ad esso, tuttavia, stante le regole attuali del Fiscal compact, la Commissione europea attribuisce un significa quasi salvifico. Deve tendere a zero, seppure con una progressione (meno 0,5 per cento all’anno) che l’Italia non è mai riuscita a rispettare. Almeno negli ultimi tre anni. La prova provata che dovrebbe giustificare, insieme alla cosiddetta “regola del debito”, l’avvio della procedura d’infrazione.

Sul fronte del rapporto debito-Pil, infatti, le cose non sono così catastrofiche, ma le prospettive non sono, comunque, tranquillizzanti. Sempre secondo la Commissione avremo una stabilizzazione degli attuali rapporti, destinati a ballare su una soglia del 131 per cento. Nessuna riduzione, quindi: soprattutto a causa della dinamica degli spread che, secondo le dichiarazioni di Moscovici, dovrebbero stabilizzarsi intorno ad una soglia di circa 350 punti base. Con un rendimento sui Bot decennali che dovrebbe portarsi dagli attuali 3,3 al 3,7 per cento. Con quali conseguenze sullo stato di salute delle banche italiane sarà tutto da verificare.

Naturalmente contro qualsiasi tipo di previsione, da qualsiasi parte provenga, si può eccepire. Si può tirare in ballo il minore o il maggiore ottimismo. Si possono lamentare distrazioni o possibili défaillances tecniche, come ha fatto il ministro Tria. In ogni caso si tratta di semplici scommesse, seppure suffragate da alcuni elementi di base. Ma se nel calcio, la CSKA di Mosca riesce a battere il Real Madrid, nonostante la diversità dei relativi fondamentali, si può ben comprendere quanto forte sia l’alea che accompagna queste esercitazioni. Su alcune cose, tuttavia, è più difficile almanaccare. In questo secondo caso non stiamo parlando di decimali, ma di una percezione che si sta diffondendo con la forza di quel “venticello” che Rossini, nel suo “Barbiere di Siviglia”, attribuisce alla “calunnia”. Fino a determinare “un’esplosione come un colpo di cannone, un tremuoto, un temporale, un tumulto generale”

La consapevolezza di un’Italia che può reggere il peso di un welfare, che la prossima legge di bilancio dilata notevolmente – leggi salario e pensioni di cittadinanza e riforma della legge Fornero – solo se, contestualmente, riesce ad accrescere il suo tasso di sviluppo. L’equazione che non torna nella “manovra del popolo”. Questo è il vero punto debole del “contratto di governo”, che può essere declinato in mille modi: destinati, tuttavia, a convergere verso un unico punto di caduta in negativo. La Commissione europea ne ha preso atto e, con i suoi strumenti cognitivi, ha cercato di fissarli sulla lavagna delle sue previsioni.

È una diagnosi giusta? Nella sostanza ineccepibile, anche se parziale. Dovuta a quel cono d’ombra che da troppo tempo avvolge alcuni elementi più significativi della realtà europea. In Italia il tasso di disoccupazione, nei prossimi anni, si colloca al terzo posto dell’intera Eurozona: sopra la soglia del 10 per cento. Peggio che da noi vanno le cose in Grecia e in Spagna. Nella penisola iberica la differenza, che tende a restringersi, è di circa 3 punti, sebbene quell’economia cresca ad un ritmo doppio di quella italiana. Nello stesso tempo, tuttavia, tra i grandi Paesi europei, il saldo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti italiana è previsto pari al 2,5 per cento del Pil per l’intero arco della previsione. Ed è secondo solo alla Germania (circa il 7 per cento) la cui economia cresce tuttavia ad un ritmo leggermente superiore. La stessa Spagna, pure in attivo, gode di un surplus seppur dimezzato: intorno all’1 per cento del Pil. In Francia, tanto per avere un termine di paragone, il deficit è di poco superiore allo 0,5 per cento del Pil.

Il paradosso italiano è, quindi, più che evidente. Disoccupazione significa: risorse umane non utilizzate. Saldo attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti: eccesso di risparmio che prende la via dell’estero, soprattutto come investimenti di portafoglio. La forma meno evoluta del complesso armamentario che caratterizza le relazioni internazionali. Si poteva fare qualcosa per correggere uno squilibrio macroeconomico, tale considerato dalle stesse regole europee, di questa portata? Questa è la domanda che resta senza risposte nella quotidianità della vita di questo governo, nonostante le pur brillanti considerazioni teoriche di qualche suo ministro. Leggi Paolo Savona. A meno di non pensare di poterci giocare tutto con il salario di cittadinanza e l’idea che, in definitiva, l’Europa sia solo una nuova “tigre di carta”. Lo pensavano i maoisti, rispetto agli Stati Uniti. Sappiamo com’è finita.

 


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