Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Non basta una conferenza per ottenere prestigio internazionale. Tutti gli errori strategici sulla Libia

Di Federica Saini Fasanotti
libia

Il più grande teorico militare cinese dell’antichità, Sun Tzu, scrisse, nel suo capolavoro “L’Arte della Guerra” che “ci sono strade da non percorrere, truppe da non attaccare, città e fortezze da non assediare, territori da non conquistare, “ordini del sovrano da non eseguire”. Aveva assolutamente ragione. Questo principio dovrebbe essere applicato anche alla Libia. Troppi errori sono stati fatti sino ad oggi, causati da una certa tendenza allo strafare e da manie di protagonismo dei vari politici di turno legati, volenti o nolenti, a quello scacchiere.

La conferenza di Palermo è uno di questi. Nata sicuramente sotto il segno di buoni propositi da parte del nostro attuale primo ministro Giuseppe Conte, entusiasta del suo incontro con il presidente americano Donald Trump, ha dimostrato quanto il file libico possa essere di difficile gestione. Territorio complesso, naturalmente scabro, è da sempre stato, proprio per la sua asprezza, pressoché disabitato. I libici, che i nostri soldati quasi un secolo fa impararono a conoscere e a rispettare, non sono altro che il riflesso di quella terra che ha inspessito i rapporti famigliari, tribali, e che nulla ha fatto per lenire odi ormai atavici. Proprio per questo la Libia è una questione estremamente complessa e per nulla semplice, nonostante l’esiguo numero di chi la abita. Chiunque, prima di approcciare quel territorio, dovrebbe aver quantomeno presente questo, soprattutto noi italiani, a causa del nostro passato colonialista.

La conferenza di Palermo è stata sotto molti aspetti un errore strategico non irrilevante. Eppure i due fallimentari esperimenti francesi del 2017 e del 2018 avrebbero dovuto essere studiati per fare esattamente il contrario. Non basta una conferenza per ottenere prestigio internazionale. Macron ha dimostrato di non aver capito nulla di Libia, insistendo nell’indicare per il 10 dicembre 2018 la data delle elezioni. Questo in un paese straordinariamente diviso, in cui il processo di riforme politico-costituzionali è ancora ad uno stato embrionale e, particolare non da poco, con 20 milioni di armi leggere e pesanti in mano a sei milioni di abitanti, se contiamo anche i bambini nella culla. Non è stato difficile prevedere che le elezioni non ci sarebbero state nella data auspicata dai francesi, così come ora non è difficile avere molti dubbi sul desiderio di tenerle nella primavera del 2019, ovverosia – se la matematica non è un opinione – tra 4/7 mesi. Troppo presto.

Le elezioni sono l’apoteosi della democrazia, il momento ultimo e finale di un lungo, accurato – e spesso assai faticoso – processo. Un popolo deve essere adeguatamente maturo perché tale processo possa essere definito positivo . Nulla può essere fatto all’insegna della fretta, soprattutto nel caso della Libia che è un paese che sta faticando a trovare la propria identità, un paese storicamente denso di conflitti e contraddizioni.

Tutto ciò a Palermo non ha trovato una soluzione, anzi: certe tensioni sono addirittura state esasperate. Da una parte un gruppo di una decina di movimenti politici libici – alcuni anche di una certa rilevanza – che non sono stati chiamati al tavolo delle contrattazioni hanno urlato allo scandalo, dicendosi profondamente delusi perché sentitisi messi ingiustamente da parte, dall’altro un paese come la Turchia, fondamentale per la buona riuscita della stabilizzazione libica, ha abbandonato indispettita la conferenza dopo che alla sua delegazione era stato negato l’accesso in un colloquio tra Serraj (primo ministro del governo in Tripolitania sostenuto dall’Onu) ed Haftar (il maresciallo di campo della Cirenaica). In questo tipo di meeting internazionali c’è sempre qualcuno che ne esce deluso – come noi italiani dovremmo ben sapere guardando al nostro passato – e questo è qualcosa che quando si parla di Libia non dovrebbe succedere.

Il lavoro da fare è altro, a livello locale, favorendo un processo inclusivo dove anche le minoranze non siano lasciate a casa, facendo tutto il possibile per una riconciliazione reale – cosa difficilissima in Libia – spingendo per nuove riforme economiche (così come si è finalmente iniziato a fare da qualche tempo a questa parte) e lavorando ad un serio progetto sul disarmo delle milizie. Tutto il resto non solo è superfluo, ma può risultare estremamente dannoso.

×

Iscriviti alla newsletter