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Cari sovranisti, per riformare l’Ue è necessario conoscerla

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Lavoro con le istituzioni europee da 40 anni e le frizioni tra il nostro governo e la Commissione non mi meravigliano. Mi ricordano frizioni simili, negli anni ’90, quando il ministro italiano coinvolto era il prof. Spaventa che diverse volte aveva lasciato Bruxelles sbattendo la porta. Ricordo che queste brusche reazioni venivano accolte positivamente a Bruxelles perché, finalmente, l’Italia si faceva viva. La presidenza Ue di Prodi aiutò a trovare un equilibrio, comunque instabile e incerto.

Il problema dei rapporti governo italiano/Commissione Ue ha le stesse cause che stanno alla base delle polemiche sulla manina che cambierebbe i testi di legge dettati dal presidente del Consiglio e trascritti fedelmente dal vice presidente. Al di là delle facili battute, il problema sta nel rapporto tra livello politico e tecnostruttura sottostante. Renzi, una volta arrivato a Palazzo Chigi, per diverse settimane, sino a che non tarò il rapporto,  produsse slides e non atti normativi. Si tratta probabilmente della vera sfida delle democrazie moderne: garantire il giusto ruolo al livello politico in decisioni altamente tecniche di cui capisce poco. A Bruxelles si è molto più  avanzati che non in Italia nella risoluzione di questo problema, anche grazie ai vertici burocratici dei paesi ultimi arrivati, paesi che, dopo la caduta del Comunismo, hanno attirato la loro diaspora intellettuale. Ai vertici di queste burocrazie e nelle posizioni di advisors dei vari ministri troviamo in questi Paesi fior fiore di esperti provenienti da Upsala, Princeton, Lse, ScincePo Parigi. Dobbiamo a queste elite se oggi lo strumento informatico viene usato per permettere il monitoraggio ed il coinvolgimento, non solo delle burocrazie nazionali, ma anche della società civile nella messa a punto delle regole Ue.

Tutti i gruppi di esperti che lavorano alla messa a punto delle direttive e dei regolamenti europei sono individuati e reperibili sul web (sul web si trova l’elenco dei comitati, il nome e il cv dei loro membri, l’agenda dei lavori, l’ordine del giorno delle riunioni, il verbale di ogni riunione). Addirittura si è affermata la prassi così detta “no meeting” secondo la quale non si possono riunire gruppi che non siano registrati nell’elenco ufficiale (cfr. Commission’s Inter-Institutional Agreement (IIA) proposal for a mandatory transparency register, e il “report” della Commissione sull’applicazione del regolamento 1049/2001 sull’accesso ai documenti). Le ricerche in corso mostrano che il coinvolgimento delle società civili degli Stati membri è in costante aumento, anche e sopra tutto quando i sovranisti sembrano mettere in discussione la Ue.

Il fatto è che i sovranisti mettono in discussione una Ue che non esiste: la Ue come struttura superstatale. La Ue, con buona pace di Macron, è solo uno spazio di circolazione libera garantito da standards tecnici e giuridici, co-prodotti da tutti gli Stati Membri, secondo il principio della pooling of authority. Vederlo come uno sorta di superstato è uno specchietto per le allodole che distoglie l’attenzione dal cuore del problema: coinvolgerci nella coproduzione degli standards che decidono del successo delle nostre imprese.

La Ue è anche uno spazio di confronto tra pari. Qui si tratta comparare le proprie prassi per trovare le migliori pratiche. Noi, anziché aprirci ci chiudiamo a riccio. Un grosso problema è la nostra contabilità pubblica che è sostanzialmente giuridica e non di cassa (se in tutto il mondo la contabilità pubblica è solo di cassa e non di competenza ci sarà forse qualche motivo) quindi poco attendibile. Come pure sono poco attendibili le nostre previsioni che alla base, fanno emergere il concetto di “costo standard”, evidenziando una filosofia di fondo impregnata di schemi di tipo sovietico, schemi che ripugnano sopra tutto ai vertici burocratici dei nuovi Stati Membri provenienti dall’incubo del Comunismo. Qui dovremmo attrezzarci e cambiare: queste sono le vere riforme che ci si attende da noi.

Istituzionalmente l’Italia non ha mai cercato di impegnarsi nella fase di preparazione delle regole europee. I rapporti con Bruxelles sono stati per lungo tempo limitati alla fase di ricezione della normativa europea. In questa fase il dipartimento per gli Affari Europei della presidenza del Consiglio dei Ministri curava la stesura della così detta legge La Pergola (legge n° 86/1989), la legge che ogni anno recepisce le direttive Ue. Il coinvolgimento nella fase attiva (di imput secondo il gergo degli istituzionalisti) fino a tutto il 2005 era limitato ad un mini ufficio per lo sviluppo economico alla Farnesina che fungeva da contatto romano della nostra rappresentanza a Bruxelles. Nel 2005, con la legge n. 11 (così detta legge Buttiglione), si cerca di regolamentare per la prima volta la partecipazione dei funzionari italiani nella fase di input (definita nella stessa legge 11/2005 come fase ascendente, segno inequivocabile che non si percepisce la Ue come una realtà da noi partecipata ma come una realtà a noi superiore e come una realtà lontana). Improvvisamente la Farnesina sembra svegliarsi e crea rapidamente ben due direzioni dedicata alla Ue. Con la legge 234 del 2012 la legge 11/2005 viene abolita e il coordinamento della presenza italiana nella fase ascendente sembra essere affidato al Cnel, organismo che, secondo il contratto di governo che lega i due partiti di maggioranza, dovrebbe essere abolito.

Di fatto oggi nessuno governa la presenza (più spesso l’assenza) dei funzionari e dei rappresentanti degli interessi italiani nella fase di messa a punto della normativa comunitaria. Quando chiediamo la riforma della Ue non ci rendiamo contro che chiediamo la riforma di una Ue che non esiste e che chiediamo cose che già esistono e stanno sotto i nostri occhi.


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