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Tra M5S e Lega è campagna elettorale continua. Contro gli interessi nazionali

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Matteo Salvini è perennemente in campagna elettorale, adesso ha aperto anche quella per il Campidoglio. Lo vede anche un cieco che il suo obiettivo più che governare è vincere al più presto la competizione di fatto già aperta per le Europee di maggio, ma con l’obiettivo di conquistare la maggioranza assoluta nell’inevitabile contesa politica nazionale che si terrà a breve.

Luigi Di Maio vede l’uno e l’altro appuntamento (soprattutto l’altro: le elezioni anticipate) come il fumo negli occhi. Gli obiettivi che ha raggiunto sono pari allo zero. Ha seminato scompiglio nel governo; ha minato la coesione interna al Movimento Cinque Stelle; ha rinvigorito la fronda di sinistra che gli fa apertamente la guerra; ha costretto i militanti (non tutti) e molti parlamentari ad ingoiare bocconi amari imponendo inversioni di rotta su temi qualificanti (Tap, Ilva di Taranto, condono fiscale, decreto lavoro, sicurezza) rispetto a quanto promesso in campagna elettorale. La sua rabbia evidente è esplosa con attacchi di inusitata gravità all’indirizzo delle istituzioni europee (non sorprende granché anche se dovrebbe, dal momento che sono stati formulati pur sempre da un vice presidente del Consiglio dei ministri) e di inedita volgarità contro il governatore della Bce Mario Draghi.

E così, mentre Salvini si è perlomeno intestato la battaglia della sicurezza anche sull’onda emotiva di alcuni raccapriccianti fatti di cronaca, Di Maio è costretto a sbattere la testa tutti i giorni contro la dura realtà che lo vede soccombente con le sue pretese di innescare processi pauperisti e giustizialisti intollerabili perfino a consistenti porzioni del suo elettorato. Non gli andrà bene neppure sugli sbandierati vitalizi, il più vile dei provvedimenti contro la classe politica del recente passato, inficiato da profili palesemente incostituzionali che cadrà sotto la mannaia di sentenze che renderanno ancor più evidente l’intento pentastellato di innescare odio sociale per poter lucrare voti da un elettorato che attende sovvenzioni statali da chi non ha saputo o voluto fare i conti con l’impraticabile assistenzialismo pubblico che sottrarrebbe risorse alla creazione di posti di lavoro, oltre a contribuire all’ulteriore innalzamento del deficit, qualora il cosiddetto reddito di cittadinanza venisse davvero applicato nella formulazione grillina che su tale promessa ha mietuto facili consensi soprattutto nel Mezzogiorno.

Inutile che cerchino di nasconderlo, a vario titolo e con mezzi differenti, i protagonisti della pochade gialloverde pomposamente intitolata “governo del cambiamento”: stanno insieme, guerreggiando più di quanto non si veda ad occhio nudo, per farsi una campagna elettorale che tenga a distanza le presunte opposizioni. Salvini con indiscutibile baldanza; Di Maio con la paura addosso di imboccare presto la via che porta a Pomigliano d’Arco sotto la spinta di altri competitori interni, da Fico a Di Battista che non sono certo fior di statisti, ma che di fronte a “Giggino” è proprio questa la figura che fanno.

Intanto l’Italia è in balia delle mareggiate internazionali. Dalla manovra economica, criticata da tutti (non solo dalle agenzie di rating), non sappiamo ancora cosa attenderci; nella vaghezza più totale attendiamo gli esiti della cosiddetta riforma delle pensioni; le grandi opere sono un cantiere di parole, mentre le città assediate da mille problemi, propongono la visione raccapricciante di un’invivibilità da Terzo mondo diventata un incubo con l’aggravante che il sistema idrogeologico nazionale è praticamente saltato. La qualità della vita, insomma, è ai minimi termini.

Non che prima dell’avvento dei “Masanielli” fossero tutte rose e fiori, intendiamoci. Ma in circa sei mesi di governo dei nuovi padroni dell’Italia non s’è vista neppure l’ombra del cambiamento promesso: soltanto litigi nell’esecutivo, nella maggioranza, tra i grillini a riprova che gli innaturali connubi, cui la Lega si è prestata al fine di fagocitare tutto il Centrodestra (ormai inesistente) piuttosto che impegnarsi in una reale operazione di bonifica sociale e statuale. I Cinque Stelle avevano tutto l’interesse, all’opposto, a far esplodere le contraddizioni a sinistra incamerandone buona parte dei consensi tradizionali. Ci sono riusciti, ma come hanno speso l’enorme bottino elettorale? Alimentando il “confusionismo” e riducendosi alla subalternità dell’alleato leghista. Da qui il pericoloso gioco che si è innescato tra i due partner di governo che non presagisce nulla di buono.

Fino a quando durerà la finzione messa in piedi ai danni degli italiani? Presumibilmente dovremo aspettare la primavera. Ma non è detto che la situazione non precipiti prima. E se le conseguenze disastrose della legge di bilancio dovessero manifestarsi con largo anticipo sulle previsioni, nessuno può dire quale piega prenderanno gli eventi. Di certo la credibilità internazionale dell’Italia ne risentirebbe e, soprattutto, i risparmi degli italiani sarebbero a rischio. Un “effetto Grecia”, insomma, non è utopistico immaginarlo.

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