Le forze armate russe hanno aperto il fuoco su alcune navi ucraine nel Mar d’Azov per poi prenderle d’assalto, domenica, in quella che è stata l’escalation più sostanziosa delle tensioni che si consumano nell’area. Una delle imbarcazioni che Kiev stava spostando nel bacino di cui condivide, secondo un accordo del 2003, le coste con la Russia è stata danneggiata. La zona è un terreno di confronto geopolitico delicatissimo, dove si sta aprendo un terzo fronte, dopo Crimea e Donbass, dello scontro tra Ucraina e Mosca.
Alcuni marinai sono rimasti feriti. Il centro stampa della marina ucraina ha confermato che, dopo aver lasciato la zona delle 12 miglia nautiche che delimitano le acque territoriali russe, le navi della guardia costiera di Mosca hanno aperto il fuoco contro il gruppo ucraino. Successivamente le forze speciali russe — gli Spetsnaz — hanno bloccato e attraccato le due piccole imbarcazioni blindate di artiglieria, la “Berdyansk” e la “Nikopol” e il rimorchiatore “Yana Kapu” che le stava trainando (colpito e speronato, con sei marinai feriti, tre dei quali assistiti dai russi).
Il ministero della Difesa russo sostiene che l’azione è stata conseguenza di almeno cinque ore di provocazioni ucraine, che hanno più volte violato i confini di sovranità russi. Domenica, le tre navi inviate da Kiev attraverso il Mar Nero non avrebbero chiesto il permesso di passaggio sulla chiusa di Kerch, sostengono i russi; mentre gli ucraini ribattono che quell’area deve essere lasciata libera alla navigazione.
Kiev sostiene che i suoi mezzi stavano cercando di passare lo stretto per arrivare al porto di Mariupol, dove il governo ucraino – che ha immediatamente riunito il comitato di emergenza con il presidente, Petro Poroshenko, che nella notte ha proposto il voto della legge marziale al parlamento – ha piazzato un modesto contingente per creare dissuasione nel bacino.
(Nota fondamentale: l’Ucraina chiede adesso la legge marziale, e non prima con la Crimea e il Donbass, perché domenica le proprie unità militari sono state deliberatamente attaccate dalla Russia, che ha confermato l’azione; mentre finora sono stati i ribelli, formalmente, anche se appoggiati dalle unità clandestine russe, a portare avanti le operazioni nella regione orientale, su cui Mosca ha sempre negato coinvolgimenti).
Secondo gli ucraini, l’assalto rientrerebbe nell’ambito di un’operazione speciale russa per sequestrare le loro navi da guerra. L’azione sarebbe coordinata tra Guardia nazionale, la Rosgvardia, e l’unità di frontiera del Servizio federale di sicurezza (l’intelligence interna, nota come Fsb).
Nella notte, altre forze speciali russe sarebbero arrivate su elicotteri equipaggiati con sistemi di visione notturna nell’area del ponte di Kerch, l’enorme infrastruttura che strozza a sud il bacino di Azov e che da continuità terrestre tra il territorio della Federazione Russa e la Crimea, la penisola ucraina annessa illegittimamente da Mosca nel 2014. Gli elicotteri da trasporto Mi-8, con all’interno truppe speciali, sarebbero atterrati vicino al villaggio di Zavetnoe, secondo informazioni dal posto, ma non confermabili.
Da diversi mesi il bacino che sfocia nel Mar Nero vive situazioni di altissima tensione: Kiev accusa i russi, dice che lo stanno trasformando in un lago interno (la chiusura a Kerch sarebbe la prova definitiva) su cui agire in modo unilaterale ed egemone. Gli ucraini dicono che azioni come quella di domenica sono deliberate mosse aggressive russe –”Un atto di aggressione volto a intensificare deliberatamente la situazione nelle acque del Mar d’Azov e dello Stretto di Kerch”, l’ha definito Poroshenko, che ha chiesto la condanna internazionale di Mosca e l’imposizione di nuove sanzioni.
Mosca rimbalza le accuse, e rilancia incolpando l’Ucraina di condurre manovre pericolose e azioni di disturbo. I media di stato russi hanno riferito che lo scontro è una provocazione orchestrata dall’Ucraina e dai democratici americani per intralciare il prossimo incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e Donald Trump al vertice del G20 a Buenos Aires questa settimana.
Sulla scia dell’accaduto, la Russia ha temporaneamente chiuso lo stretto di Kerch, lasciandolo aperto soltanto al passaggio di navi civili. Una petroliera è stata messa di traverso sotto la porzione di ponte utilizzata come porta al Mar d’Azov, una squadriglia di Su-25 sono passati in volo radente sopra alle acque del bacino.
In una dichiarazione alla Cnn, la portavoce della Nato Oana Lungescu ha detto che l’alleanza “appoggia pienamente la sovranità dell’Ucraina e la sua integrità territoriale” e chiede alla Russia “di assicurare un accesso senza ostacoli ai porti ucraini nel Mar d’Azov”.
Anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha espresso oggi al presidente ucraino Poroshenko, il “pieno sostegno” alla difesa dell’integrità e della sovranità territoriale del Paese, anche per quanto riguarda “il diritto di navigazione nelle sue acque territoriali”. È scritto esplicitamente in una nota della Nato, che per oggi pomeriggio è stata convocata la commissione Nato-Ucraina a livello di ambasciatori per fare il punto sulla situazione
L’Unione europea, per bocca dell’Alto rappresentante della politica estera, Federica Mogherini, ha fatto eco a quest’ultimo sentimento, e ha ricordato che il ponte di Kerch è considerato da Bruxelles “una violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina”. “La Nato sta monitorando da vicino gli sviluppi nel Mar di Azov e nello Stretto di Kerch, e siamo in contatto con le autorità ucraine, chiediamo moderazione e de-escalation”, si legge nella dichiarazione.
Nato, Stati Uniti e Unione europea avevano espresso preoccupazione già a settembre, quando convogli di mezzi militari russi erano stati spostati a sud di Rostov sul Don, nelle zone che si affacciano al Mar d’Azov, in una mobilitazione sospetta sebbene camuffata con spostamenti collegati alla grande esercitazione “Vostok 2018”.
Per le undici di mattina odierne (ora di New York, saranno le 17 in Italia), è stata invece convocata una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu richiamato dagli Stati Uniti, come confermato l’ambasciatore statunitense uscente presso le Nazioni Unite, Nikki Haley.